Serbia, torna il progetto per l’estrazione del litio: due miliardi da investire

BELGRADO Nessuna resa, malgrado le ripetute rassicurazioni delle autorità verso una parte della popolazione che è pronta a tornare in piazza. E voci accreditate che parlano di interessi stranieri – della Germania in testa – affinché il controverso progetto vada avanti: “rumour” che rischiano di infiammare ancora di più gli animi. È destinato senza dubbio a riaprirsi il caso litio in Serbia, Paese balcanico ancora fuori dalla Ue che nasconde nelle sue profondità fra le maggiori riserve di “oro bianco” in Europa e a livello globale. Riserve il cui sfruttamento è stato sulla carta archiviato da massicce proteste popolari, e che però fanno ancora gola al colosso anglo-australiano Rio Tinto che, dopo essere stato costretto a battere in ritirata dalle manifestazioni che nell’inverno dell’anno scorso avevano paralizzato la Serbia, prepara una controffensiva.
Lo ha confermato Jakob Stausholm, uomo d’affari danese alla testa di Rio Tinto, durante un briefing con gli investitori organizzato a Sidney. Rio Tinto, ha assicurato Stausholm, «non ha rinunciato» al progetto Jadar, un investimento di oltre due miliardi per creare una grande miniera nella Serbia occidentale e impianti per la trasformazione dei materiali estratti. Anzi, il colosso minerario considera lo Jadar «un asset straordinario». E del litio «il mondo ma anche la Serbia hanno bisogno», ha aggiunto il Ceo di Rio Tinto.
Di certo il gigante delle miniere, nel mirino di attivisti e ecologisti in svariate parti del globo a causa dei danni all’ambiente causati dall’estrazione di minerali essenziali all’economia moderna, «deve ancora capire come muoversi, ma l’unica cosa che posso dire è che non abbiamo mollato», ha assicurato l’amministratore delegato dell’azienda.
Le dichiarazioni di Stausholm sono molto importanti e sono destinate a sollevare un gran polverone e ad attizzare furiose polemiche, con il movimento “Ekoloski Ustanak” che ha già avvisato che «non permetterà» il rientro di Rio Tinto dalla porta secondaria.
In Serbia solo lo scorso martedì la premier Ana Brnabić aveva garantito di non vedere alcuna possibilità per un ritorno di fiamma tra Belgrado e Rio Tinto, dopo che le autorità al potere, messe all’angolo dalle proteste di attivisti e cittadini, avevano annunciato a gennaio la revoca delle licenze per il progetto Jadar.
«Non vedo alcuna possibilità di risuscitare il progetto», aveva detto la leader serba, aggiungendo però che sarebbe utile un dibattito popolare sul tema litio, elemento che potrebbe arricchire il Paese e farlo sviluppare rapidamente, l’idea della leadership serba, prima che le preoccupazioni sulle ricadute ambientali dell’estrazione mettessero i bastoni tra le ruote. Di certo, il litio sarebbe «la più grande chance di sviluppo» per il Paese, ha aggiunto Brnabić. Non la pensano così gli almeno trentamila serbi che hanno firmato una petizione per chiedere al Parlamento, ancora silente, di discutere e poi vietare per legge lo sfruttamento del litio.
Il litio serbo tuttavia potrebbe soddisfare il 90% della domanda europea e non farebbe gola solo a Rio Tinto. Secondo rivelazioni della stampa tedesca, infatti, la Ue – Germania in testa – in una nuova strategia, ancora segreta, per contrastare la dipendenza dalla Cina avrebbe inserito proprio il litio serbo fra i venti progetti-chiave della risposta europea all’espansionismo della nuova Via della Seta. Senza però tenere conto del “no” secco di buona parte dell’opinione pubblica del Paese balcanico.
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