Serbia, il giorno del lutto nazionale: «Fiori per i nostri eroi del nord del Kosovo»

Diventa un caso il segno di cordoglio deciso da Belgrado dove i maggiori quotidiani filogovernativi esplicitano la linea

Stefano Giantin
Il Kosovo coi colori serbi a Belgrado
Il Kosovo coi colori serbi a Belgrado

Bandiere a mezz’asta, persone che accendono candele davanti alle chiese per i «martiri», come li ha definiti il ministro serbo della Difesa, Miloš Vučević.

Tutte le radio trasmettono solo musica classica. Sulle Tv annunciatori e presentatori usano toni bassi e composti mentre sullo schermo scorrono tristi sottopancia neri. A Belgrado, allo stadio Marakana, il più grande dei Balcani, salta l’attesissimo derby tra Stella Rossa e Partizan Belgrado, come molti altri eventi sportivi e culturali in programma in tutta la nazione. Tutti i maggiori giornali escono con le prime pagine listate a lutto o in bianco e nero.

Sono flashback della giornata di mercoledì 27 settembre, in Serbia, uno scenario che all’apparenza potrebbe ricordare quello osservato lo scorso maggio, dopo le terribili stragi della scuola Ribnikar e di Mladenovac che avevano commosso i Balcani e l’Europa intera.

Ma la differenza è enorme. Perché anche un lutto nazionale può provocare sterili e velenose dispute e approfondire divisioni pericolose. Il lutto di mercoledì è stato infatti deciso dalle autorità al potere in memoria delle vittime dei «tragici eventi» di sabato e domenica, nel nord del Kosovo: un agente kosovaro ucciso da paramilitari serbi, quattro serbi membri del gruppo armato eliminati dalle forze speciali di Pristina.

«Tragici eventi», questa la locuzione usata dal governo di Belgrado annunciando in una stringata nota la giornata di lutto nazionale del 27 settembre. Parole che a molti, in Serbia e oltre, sono sembrate solo un espediente stilistico per non dire espressamente che si dovevano invece commemorare i serbi uccisi negli scontri a fuoco di Banjska: terroristi per Pristina, per Ue e Usa; eroi per alcuni, in Serbia.

Ma se Belgrado non l’ha detto a chiare lettere, a indicare la rotta ufficiale sono stati come sempre i maggiori quotidiani e tabloid pro-presidente serbo Aleksandar Vučić. «Questi sono i nostri eroi del Kosovo», ha titolato il giornale Informer, mettendo in prima pagina le foto di Igor Milenković, Bojan Mijalović e Stefan Nedeljković, tre dei quattro serbi uccisi negli scontri con la polizia del Kosovo; l’identità del quarto resta misteriosa.

«Onore a loro» ha aggiunto Informer. «Fiori e candele per i caduti serbi», ha fatto eco il Vecernje Novosti; il generalmente più compassato Blic ha suggerito che «l’Occidente» starebbe perdendo il controllo sul premier kosovaro Albin Kurti, che «continua col suo terrore» nel nord. Ancora più duro il Srpski Telegraf, che ha accusato la Nato di aver «permesso la fucilazione dei serbi»; il Kurir ha scritto che sarebbe in atto una «legalizzazione della caccia al serbo».

E anche in Republika Srpska, l’entità dei serbi di Bosnia, mercoledì è stato lutto ufficiale, mentre a Novi Sad sono comparsi poster in onore dei serbi uccisi. Accettabile un atteggiamento del genere, in un Paese accusato dal Kosovo di aver ordito una sorta di rivolta armata in stile Donbass, nel nord?

Il dibattito è aperto, ma i dubbi sono tanti. Il lutto nazionale deciso da Belgrado «legittima l'azione di un gruppo criminale, chiaramente investito del compito di creare il terrore in Kosovo e questo è inaccettabile, ingiustificabile, condannabile, non europeo», ha affermato così da Roma il premier albanese Edi Rama, considerato vicino a Vučić e spesso critico verso Kurti, non questa volta.

Kurti, intanto ha di nuovo puntato l’indice contro Vučić, accusandolo di aver ordito l’operazione per creare degli “Jashari serbi”, un riferimento al guerrigliero albanese ucciso dai serbi insieme a 50 familiari, un eroe nazionale a Pristina.

La Serbia, ha detto sempre Rama, ha lanciato «il peggior messaggio» possibile ai Balcani e alla «intera comunità euro-atlantica», ribadendo la sua tesi già prima dell’arrivo in Italia. «Per chi il lutto? Per dei terroristi uccisi?», si è chiesto anche il politologo Florian Bieber, mentre l’analista Jakub Bielamowicz ha descritto la situazione in Serbia come una «realtà parallela».

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