Serbia e Kosovo si contendono il lago artificiale di Gazivoda

Bacino strategico. Pattugliato dalla forze di Priština, Belgrado teme l’occupazione del Nord
Stefano Giantin
Poliziotti kosovari mentre pattugliano il lago (foto ministero Interni del Kosovo)
Poliziotti kosovari mentre pattugliano il lago (foto ministero Interni del Kosovo)

Una battaglia, quella sui documenti personali di viaggio, che viene risolta attraverso le pressioni di Ue e Usa. Un’altra, quella che riguarda le targhe, che rimane apertissima. E ora una terza – una possibile “guerra” per il dominio su un importantissimo lago - che rischia di divampare a breve.

Non c’è pace sull’infuocato asse tra Serbia e Kosovo, che sta tornando incandescente a causa del lago Gazivoda, un grande bacino artificiale creato ai tempi della Jugoslavia e ora in gran parte localizzato nel nord del Kosovo, a maggioranza serba, mentre un terzo si trova nel territorio della Serbia, bacino fondamentale per assicurare risorse idriche all’intero Kosovo e al sistema per la produzione di energia di Pristina. Gazivoda che da anni si è trasformato a intervalli regolari in fonte di nuove tensioni tra Belgrado e Pristina, a volte esplosive, e lo stesso scenario sembra riproporsi oggi. La miccia, gli annunci del ministro degli Interni kosovaro, Xhelal Svecla, che ha reso noto che «per la prima volta dalla fine della guerra, dopo la creazione di pattuglie sull’acqua, la polizia del Kosovo ha iniziato pattugliamenti regolari sulla linea di confine tra Kosovo e Serbia e sull’intera area del lago di Gazivoda».

«Ora il controllo della frontiera di Stato è completo, mi congratulo con la polizia», ha aggiunto il ministro, che nei giorni precedenti aveva visitato l’area assieme al premier Kurti. Movimenti di agenti e mezzi e soprattutto le dichiarazioni di Svecla che hanno creato allarme a Belgrado, che ha letto la mossa come un vero e proprio tentativo di «occupare» manu militari il nord del Kosovo a maggioranza serba e soprattutto Gazivoda, bacino idrico di importanza strategica. Non solo, la mossa kosovara rappresenterebbe anche una violazione flagrante degli «accordi di Bruxelles» che vieterebbero alla polizia kosovara di operare nel nord, se non con componenti di etnia serba, ha così ammonito il presidente serbo Aleksandar Vucic, parlando di «brutte notizie» in arrivo. Belgrado però non sembra, in questa occasione, voler rimanere a guardare tollerando «violazioni» del diritto internazionale e di intese già siglate in passato. «Questo è un monito per coloro che domani verranno a Belgrado e tutti gli altri», ha aggiunto, riferendosi alla visita, iniziata ieri nella capitale serba e in quella kosovara, dall'inviato Ue Miroslav Lajcak, che sarà accompagnato dai consiglieri internazionali del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Team ad hoc finalizzato a mettere Belgrado e Pristina alle strette per arrivare finalmente all’auspicata “normalizzazione” dei rapporti bilaterali. Missione difficilissima, perché il caso Gazivoda rischia di uscire rovinosamente dagli argini. «Gli albanesi non sono deboli, il Kosovo non è più occupato» come ai tempi «di Milosevic», ha replicato ieri Svecla, mentre il numero uno dell’Ufficio serbo per il Kosovo, Petar Petkovic, ha parlato di «provocazioni e dimostrazioni di forza» pericolosissime. —

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