Serbia e Kosovo, la sfida all’Onu. L’Occidente bacchetta Pristina

Usa e Gran Bretagna raccomandano a Kurti di frenare sull’obbligo dell’euro al posto del dinaro
Stefano Giantin
AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DUE FRAMMENTI DEL CONFRONTO SU YOUTUBE: DA SINISTRA VUčIč E KURT
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BELGRADO Il ring accoglie i contendenti, quando in Europa è ormai notte fonda, per un match molto atteso e trasmesso in diretta sul web. I due si scambiano fendenti verbali, si accusano a vicenda, a volte perdono la pazienza, vengono rimbrottati dall’arbitro. E alla fine la vittoria, se di vittoria si può parlare, potrebbe andare questa volta alla Serbia, ai punti, suggeriscono le posizioni delle grandi potenze.

Si potrebbe sintetizzare così lo scontro-incontro tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il premier kosovaro Albin Kurti, andato in scena al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, convocato su richiesta serba per discutere della situazione in Kosovo e della nuova crisi, potenzialmente esplosiva, provocata dalla decisione di Pristina di obbligare anche i serbi all’uso dell’euro per gli scambi in contanti, vietando così i dinari, usati da sempre da Belgrado per pagare stipendi, pensioni e sussidi ai centomila e più membri della minoranza e per gli acquisti di tutti i giorni da parte della gente comune. Pristina sta rendendo «impossibile» la vita dei serbi in Kosovo, e la “guerra del dinaro” - se non sarà fermata dalla comunità internazionale - costituirà l’ultima goccia destinata a creare «danni irreparabili per la loro sopravvivenza», tale da provocare una pulizia etnica de facto e «crimini contro l’umanità», ha attaccato così Vučić al Palazzo di Vetro. Divieto, ha rincarato, che «renderà impossibile il funzionamento delle istituzioni sanitarie, educative, sociali, culturali» dei serbi in Kosovo.

Menzogne, ha replicato da parte sua Kurti, perché la norma sull’euro sarebbe solo espressione della volontà di «garantire legalità sull’importazione di fondi» dall’estero ed è «in linea con la Costituzione», mentre chi evoca disastri a causa del dinaro è mosso solamente «da falsa propaganda, per incitare alla tensione». E «posso dire con orgoglio» che Pristina sta solo «applicando la Costituzione con le più alte misure di protezione dei diritti delle minoranze», ha poi assicurato, promettendo che spiegherà meglio – parlando «in serbo» - ai serbi del Kosovo le ragioni del passaggio all’euro. Niente impedisce a Belgrado di «aiutare finanziariamente» i serbi, ha poi giurato.

Chi ha ragione? Un po’ tutti, come sempre, ma certamente l’ultima mossa di Pristina rischia di far saltare il banco. Si spiegano così le “bacchettate” – o quantomeno le raccomandazioni a fare marcia indietro - ricevute da Kurti anche dai suoi più stretti alleati. Pristina ha agito «senza coordinarsi e consultarsi» con i serbi e «chiediamo che il piano» sull’euro «sia posticipato», la richiesta dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield. «Le autorità del Kosovo devono creare un piano chiaro per permettere ai serbi di continuare a ricevere fondi, affinché i servizi di base funzionino sino a quando una soluzione comprensiva sarà trovata», ha fatto eco il rappresentante britannico a New York. Il divieto al dinaro stoppa «i pagamenti per le persone impiegate da istituzioni serbe in Kosovo, sussidi sociali e agricoli, pensioni», ha stigmatizzato poi anche Caroline Ziadeh, numero uno della missione dell’Onu, l’Unmik.

Ma non ci sono stati rimbrotti solo per Pristina: i rappresentanti dell’Occidente hanno sollecitato Belgrado a far luce sui gravissimi fatti dello scorso settembre a Banjska. E ha chiesto a entrambi i contendenti di tornare al tavolo del dialogo, sul quale ormai si è depositata tanta, troppa polvere.

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