Serbia, coreografia allo stadio con minacce e un tank: gli ultrà della Stella rossa fanno insorgere Pristina
Il Kosovo sulle barricate dopo le provocazioni dei “Delije” al Marakana durante una amichevole con la Fiorentina alla presenza di Vučić

BELGRADO Una grande bandiera serba sullo sfondo, davanti alla quale si staglia l’inconfondibile profilo di un carro armato. E sotto, per chi non avesse ancora recepito il messaggio, un grande striscione rosso, blu e bianco e la scritta «quando l’esercito torna in Kosovo…», seguita dai tre punti di sospensione. E il calcio, come spesso accaduto in passato, torna a infiammare l’asse politico tra Serbia e Kosovo. Lo ha fatto questa settimana durante un’amichevole giocata a Belgrado, nell’enorme stadio “Marakana”, tra Stella Rossa e Fiorentina, match dove i “Delije”, gli ultrà della Zvezda, hanno fatto nuovamente parlare di sé. Al minuto 12 e 44 secondi, un riferimento alla risoluzione Onu che ancora oggi sancisce che il Kosovo è una sorta di protettorato delle Nazioni Unite e non uno Stato indipendente e prevede la possibilità del ritorno di mille soldati serbi in Kosovo, gli hooligan hanno fatto scattare la provocatoria coreografia. Tank, un T-55, che a molti ha ricordato un precedente, il carro armato – in quel caso vero – piazzato sempre dagli ultrà della Stella Rossa davanti allo stadio anni fa, facendo in quel caso infuriare Zagabria, perché quei carri furono usati, tra l’altro, nel terribile assedio di Vukovar.
Ora, invece, a salire sulle barricate è stato il Kosovo. E le accuse nei confronti di Belgrado sono state pesantissime, anche per la presenza sugli spalti del presidente serbo Vučić. Non sarebbe stato un caso, la combinazione leader serbo in tribuna e coreografia in curva sud, ha così sostenuto il vicepremier kosovaro Besnik Beslimi. «L’intero apparato statale» in Serbia è costruito per piegare «media, sport, arte, cultura e scienza a fini propagandistici per incitare alla violenza, al terrore, alla tensione e alla guerra», ha deplorato Beslimi. Ci sarebbe anche altro. I Delije «spesso mandano messaggi che Vučić non può o non vuole esplicitare pubblicamente», ma ha bisogno di episodi del genere per «sfamare» la vorace bocca «del nazionalismo e dell’odio etnico», ha aggiunto. La «retorica guerresca» degli hooligan è «la chiara indicazione che la Serbia non è cambiata», un fatto del genere «non può passare inosservato e impunito da parte della comunità internazionale», ha fatto eco anche Hajrulla Ceku, ministro della Cultura e dello Sport nell’esecutivo Kurti. Ma a muoversi è stata anche la Ffk, l’omologo kosovaro della Figc, che ha annunciato di aver denunciato la coreografia dei tifosi della Stella Rossa alla Uefa. Serve una «indagine urgente e punizioni severe contro il club e i supporter» della maggiore squadra di Belgrado, in modo che in futuro «non si vedano più provocazioni sciovinistiche del genere». «Non si può passare sopra slogan che hanno il fine di scatenare incidenti e di fomentare l’odio tra nazioni», ha rimarcato la Federazione di Pristina.
Molto severi anche i giudizi di politologi come Jasmin Mujanovic, che ha avvertito che il tank e le scritte dei Delje sarebbero «un segnale ovvio» di una pericolosa deriva in Serbia. Intanto, sui social arde la battaglia, per fortuna solo verbale. «Perché non si condannano mai le bandiere a favore della Grande Albania o quelle dell’Uck durante eventi sportivi?», «hanno solo difeso la risoluzione 1244», una campana. Mentre l’altra sostiene che «questa gente vuole solo uccidere tutti gli albanesi», che l’Europa «sia cieca verso i serbi, invece di isolarli e dar loro una lezione». E che gli striscioni al Marakana siano solo lo specchio «della Serbia di Vučić». E ancora una volta, nei Balcani, il calcio passa in secondo piano. O viene strumentalizzato per calcolo politico.
S.g.
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