Dodik condannato: la commissione elettorale bosniaca decide la decadenza
L’organismo rende esecutiva l’interdizione dai pubblici uffici. La replica del leader della Republika Srpska: «Nessuna resa»

A passi spediti verso l’escalation di una crisi che potrebbe essere devastante. È il quadro che si sta componendo in Bosnia, dove la Commissione elettorale centrale (Cik) ha votato mercoledì all’unanimità la «revoca del mandato» da presidente della Republika Srpska (Rs), l’entità politica dei serbi di Bosnia, al leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, «eletto alle elezioni del 2022 nelle fila dell’Snsd», il maggior partito a Banja Luka, ha annunciato ieri il Cik in una stringata nota.
Il Cik si è mosso in seguito alla conferma in appello nei giorni scorsi della condanna di Dodik per “disubbidienza” alle decisioni dell’Alto rappresentante Christian Schmidt, arbitro e garante del rispetto degli accordi di Dayton.
Dodik era accusato di essere stato l’architetto di una serie di leggi, poi adottate dal Parlamento dell’entità serbo-bosniaca, che di fatto vietavano l’attuazione sul territorio della Rs di decisioni dell’Alto rappresentante e della Corte costituzionale. Pesante la pena, ovvero di un anno di carcere e l’interdizione per sei anni dai pubblici uffici.
Si spiega così, con questa seconda parte della misura afflittiva, la mossa del Cik. Che ad ogni modo non è ancora definitiva. La stessa Commissione ha infatti precisato che, contro la sua decisione, è possibile «presentare ricorso», che dovrà essere avanzato presso la sezione d’appello del Tribunale della Bosnia-Erzegovina «entro due giorni» dalla ricezione degli atti.
Se tuttavia il ricorso sarà respinto, allora il Cik dovrà indire «elezioni presidenziali anticipate» in Republika Srpska «entro 90 giorni». E in questo caso Dodik non potrà partecipare alla corsa elettorale, a causa dell’interdizione.
Cosa accadrà ora? Subito dopo la conferma della condanna, Dodik aveva assicurato che non avrebbe abbandonato la poltrona presidenziale, forte anche del sostegno ricevuto da Belgrado, Budapest e da Mosca. Condanna che è «incostituzionale e politicamente orientata», aveva rincarato il governo serbo-bosniaco, una lettura completamente opposta a quella della Ue, che ha ricordato che si parla di una «sentenza definitiva e che deve essere rispettata».
Il leader nazionalista, fieramente filorusso e con venature pseudo-secessionistiche, difficilmente ascolterà i consigli di Bruxelles. La decisione del Cik? «Un’altra merdata di Sarajevo, l’ultima», ha elegantemente commentato ieri Dodik. Subito dopo, via X, ha rincarato, assicurando che «la resa non è un’opzione».
Infine, un esplicito attacco al Cik, «che non esiste qui», ossia in Republika Srpska, per poi annunciare un misterioso «referendum» sulla propria persona e le funzioni da lui finora ricoperte. E tutti gli ingredienti per una destabilizzazione, pericolosissima, sono ormai in pentola. —
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