Sciopero della spesa in Romania, ma il boicottaggio sovranista è un flop
L’iniziativa, nata in Croazia, si è diffusa a Est ed è stata rilanciata anche dall’ultradestra di Georgescu

Altro che rassegnazione o ripiegamento. A un tiro di schioppo dall’Italia si sta osservando una “guerra” totale al carovita, battaglia che si combatte con l’unico strumento in mano ai consumatori: lo “sciopero della spesa”, parola-chiave del 2025. Ma ora, rispetto all’esordio della protesta, non mancano flop e polemiche, dopo che l’ultradestra ha cercato di appropriarsi delle ragioni della piazza.
Boicottaggio che, dopo essersi innescato in Croazia – dov’è stato un grande successo – ed esteso nelle scorse settimane alla gran parte dei Paesi dei Balcani occidentali extra-Ue, si sta allargando sempre di più, in uno scenario tuttavia non scevro di polemiche.
L’onda lunga dello sciopero della spesa ha iniziato infatti a toccare anche la Romania, dove la protesta ha assunto precisi connotati politici. A invitare i consumatori al boicottaggio non sono stati singoli cittadini e associazioni, come avvenuto in Croazia e in Serbia, bensì politici controversi come Călin Georgescu, esponente dell’ultradestra filorussa, diventato celebre dopo aver vinto a sorpresa il primo turno delle presidenziali, poi annullate per presunte interferenze di Mosca nel voto.
Georgescu, come sempre via social, ha chiamato i romeni alla rivolta contro le grandi catene della distribuzione, in gran parte straniere, accusate di «aver portato i profitti all’estero» dopo essersi «arricchite» a spese dei consumatori. Da qui l’invito al boicottaggio, in agenda fino al 16 febbraio, da adottare anche come forma di «sostegno ai produttori romeni», affinché i cittadini disertino i supermercati e prediligano invece drogherie, negozi, piccole catene locali e mercati di proprietà di romeni “veraci”. È ora di dire basta e il boicottaggio deve diventare «un’abitudine nazionale» finché le cose non cambieranno, ha affermato anche la leader del partito di ultradestra Pot, Anamaria Gavrilă.
In Romania il «boicottaggio sovranista» ha però provocato contro-proteste organizzate via social e si starebbe rivelando un flop. I consumatori, infatti, avrebbero addirittura comprato di più che in passato, ha sostenuto il ministro dell’Agricoltura, Florin Barbu, che ha parlato di un 10-20% in più di acquisti.
Non c’è la politica, ma l’iniziativa di quattro associazioni per la difesa dei consumatori alla base della protesta contro il carovita registrata questa settimana in Bulgaria. «Ci attendiamo che il governo si schieri con i cittadini, non con le catene di supermercati» è l’appello dei promotori. E «non sarà un’azione isolata», ma ne seguiranno altre finché i prezzi non scenderanno, ha promesso una delle anime della protesta, Velizar Enchev, ex ambasciatore bulgaro in Croazia, che ha evocato uno scenario di «negozi vuoti» per far capire a chi comanda che la misura è colma.
Nel frattempo, all’epicentro dello “sciopero della spesa”, in Croazia, si continua sulla strada segnata già a gennaio, con una nuova tornata di boicottaggi, che ieri hanno toccato anche i panettieri. Stesso discorso in Serbia, con nuove chiamate allo sciopero degli acquisti nei grandi supermercati, in genere di proprietà di colossi stranieri. Altre astensioni dagli acquisti sono andate in scena in Montenegro, Macedonia del Nord e Kosovo. E scioperi della spesa sono stati prospettati pure in Grecia, Ungheria e Slovacchia. —
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