Scambi di accuse fra Serbia e Kosovo al Palazzo di vetro

BELGRADO Accuse pesantissime da una parte e dall’altra, nessuna apertura reciproca, mentre le grandi potenze si dividono. E se le premesse sono queste, diventa sempre più irrealistico immaginare una soluzione positiva alla questione più delicata nei Balcani, quella del Kosovo. Lo si è visto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunitosi daccapo questa settimana a New York per discutere della situazione nell’ex provincia serba. Ma il meeting, sulla carta indetto per analizzare il rapporto semestrale della missione Onu in Kosovo (Unmik), si è tradotto per l’ennesima volta in un match di box, senza esclusione di colpi. Protagonisti sul “ring”, il presidente serbo Aleksandar Vučić e l’omologa kosovara, Vjosa Osmani, che non si sono risparmiati per mettere in difficoltà l’avversario, rappresentandolo come il colpevole di tutti i mali.
In Kosovo, starebbe andando in scena da più di un decennio una vera e propria «violenza legale contro la popolazione serba», ha così esordito Vučić, accusando Pristina di una brutale repressione, congegnata «creando condizioni di vita impossibili per i serbi e i non-albanesi». Fra gli strumenti di questa pulizia etnica de facto, secondo Belgrado, il divieto all’uso del dinaro, che enormi difficoltà sta creando ai serbi in Kosovo, ma anche il rifiuto di creare l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba, il tutto mentre la comunità internazionale starebbe neghittosa a guardare. Non è finita: nel silenzio generale sarebbero stati ben 16 gli attacchi fisici contro serbi dall’ultima sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza, quella dell’8 febbraio, ha riferito puntigliosamente Vučić. E i terribili fatti di Banjska, l’attacco di paramilitari serbi contro la polizia kosovara, sarebbero spiegabili, leggi una “conseguenza” dell’atteggiamento repressivo verso i serbi da parte del premier kosovaro Kurti.
Completamente opposta, come sempre, l’altra campana. È quella della presidentessa Osmani, che ha invece definito il Kosovo «uno splendido esempio di democrazia in atto», nato «dalla crudeltà della guerra» del 1999. Ci sono tuttavia ancora problemi e sarebbero tutti dovuti all’atteggiamento di Belgrado, ha sostenuto Osmani – che si è presentata al Consiglio accompagnata da quattro donne, vittime di violenze sessuali per mano serba durante il conflitto. Se si vuole una vera pace oggi «bisogna fare i conti col passato, alcune delle vittime del regime che Vučić servì sono qui sedute vicine a me», ha contrattaccato così Osmani, che ha di fatto chiesto al presidente serbo di scusarsi per tutti i crimini dell’epoca Milošević. Ma lui, «invece che fare i conti col passato, ha scelto il negazionismo e la propaganda».
«Abbiamo assistito a un processo ai serbi» al Palazzo di vetro «per qualcosa accaduto 25 anni fa, neanche una parola sul rapporto Onu», che mette in evidenza anche gli errori di Pristina negli ultimi mesi, ha replicato Vučić.
Baruffe verbali tra i due grandi avversari che si sono poi estese al “pubblico”. «Chi sono quelle donne» con Osmani, ha chiesto provocatoriamente l’ambasciatore russo Nebenzya, che ha poi fatto sapere che Mosca è «molto preoccupata per le violenze» fomentate dalle «istituzioni provvisorie di Pristina» – e ha fatto sapere che sosterrà il no serbo alla prossima risoluzione su Srebrenica, che rischia di aprire un «vaso di Pandora».
Anche Pechino, da parte sua, si è schierata contro il Kosovo, mentre le potenze occidentali hanno in generale ammesso che la situazione è sempre più precaria. Per responsabilità di entrambe le parti.
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