Plenković evoca la «guerra civile»: crisi tra Belgrado e Zagabria
Il premier croato al forum di Bled parla delle proteste in Serbia e provoca l’ira di Vučić: «È il suo sogno». Per il primo ministro i Balcani occidentali devono stabilizzarsi prima di entrare in Ue

Una frase all’apparenza banale, buttata là distrattamente durante una conferenza d’alto livello alla presenza di svariati omologhi della regione. Ma nella sostanza così incauta da riaccendere la miccia di tensioni che covano sotto la brace e tali da provocare una crisi politica importante.
Crisi che riguarda l’asse, sempre irrequieto, tra Belgrado e Zagabria, scosso questa volta da affermazioni inquietanti – e pure controverse – rese dal premier croato Andrej Plenković al Bled Strategic Forum (Bsf) a proposito della situazione nella vicina Serbia, agitata da mesi e mesi di proteste di piazza, sfociate anche in episodi di violenza ad agosto.
Plenković, affiancato dallo sloveno Robert Golob, dal montenegrino Jakov Milatović e dall’albanese Edi Rama, a Bled ha ricordato che la Serbia sta affrontando «da più di due anni» – in realtà tutto è iniziato dopo la tragedia di Novi Sad, nel novembre 2024 –, «le più grandi, forti e serie manifestazioni di piazza della sua storia recente».
E il Paese balcanico, ha aggiunto, sarebbe «sull’orlo della guerra civile», mentre la vicina Bosnia viene indebolita dalle spinte «secessionistiche» dei serbo-bosniaci. Sull’allargamento, questo il ragionamento di Plenković, va riconosciuto che tutti gli Stati dei Balcani occidentali «stanno investendo sull’adesione, ma devono stabilizzarsi politicamente».
Plenković ha poi confermato successivamente le sue dichiarazioni, precisando che si è trattato di una «descrizione» della situazione «per un’audience che non ha seguito» le evoluzioni in Serbia. «Non pensate che abbia appoggiato uno scenario del genere», quello della guerra civile, «ho solo freddamente descritto» la situazione sul campo. Parole, quelle del leader conservatore croato, che hanno provocato rabbia e grandi polemiche, a Belgrado, con le autorità serbe che le hanno lette come uno schiaffo e un’ingerenza indebita. O addirittura come un’ammissione di colpa.
A reagire, è stato in primis il presidente serbo Aleksandar Vučić, che ha definito «distorte» le dichiarazioni di Plenković, pensate solo per gettare discredito sulla Serbia. Anzi, forse Plenković avrà pure «sognato» di vedere la Serbia precipitare nella guerra civile, ma «non ci sarà» nulla del genere tra Belgrado e Novi Sad.
Anzi, malgrado le turbolenze sempre più spinte e la piazza che continua a ribollire, la Serbia «continuerà a crescere con grande velocità», ha assicurato Vučić. Lo farà, «malgrado gli sforzi ufficiali e in particolare quelli non ufficiali della Croazia», ha aggiunto poi maliziosamente.
E non si tornerà ai tempi «in cui presidenti serbi adoravano la Croazia e si scusavano» con Zagabria perché essa «aveva espulso i serbi». «Continueremo a tendere la mano alla Croazia, nonostante tutti i commenti malevoli e menzogneri e non augureremo mai loro nulla di simile», ha chiosato Vučić.
Ancora più dura, se possibile, l’ex premier e oggi presidente del Parlamento, Ana Brnabić. «Plenković dice che la Serbia è sull’orlo della guerra civile? Cosa potrebbe dire di diverso? (I croati) hanno così tanto desiderato e investito» su questo epilogo e il loro «obiettivo strategico è che Vučić non sia alla testa» del Paese, ha scritto su X – rispolverando le accuse lanciate già in inverno dai tabloid filogovernativi di Belgrado su un presunto coinvolgimento della Croazia nelle proteste di piazza.
Ma c’è anche chi dà ragione a Plenković. La situazione in una Serbia sempre più polarizzata è grave. E «non occorre che venga Plenković a ricordarcelo», ha ammesso il sociologo Ivan Živkov.
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