Petrolio, intesa Serbia-Ungheria per aggirare lo stop dalla Croazia

BELGRADO Una reazione a catena, che rischia di cementare ancora di più la dipendenza politica ed economica da Mosca di un Paese balcanico strategico, la Serbia. E di allontanarla ancora di più dalla Ue. Si possono sintetizzare così i possibili effetti dell’imminente stop al petrolio russo per la Serbia: greggio che Belgrado riceveva finora prima via mare e poi attraverso l’oleodotto Janaf, via Croazia, ma che dall’inverno non dovrebbe più affluire alla grande raffineria serba di Pancevo per effetto delle nuove sanzioni Ue contro Mosca; e anche del mancato rinnovo di eccezioni a favore di Belgrado, si dice per l’opposizione proprio di Zagabria, ma anche di Varsavia e di alcuni Paesi baltici.
La Serbia tuttavia non può stare a guardare la sua raffineria “spegnersi” o le pompe di benzina triplicare i prezzi o rimanere senza carburante. E ha deciso allora di fare fronte comune con l’Ungheria di Viktor Orban, dipendente da Mosca sul fronte energia e voce dissonante a livello europeo sul fronte sanzioni; e di continuare dunque a "flirtare" con la Russia. È quanto ha confermato ieri proprio Budapest, che con il portavoce del premier magiaro, Zoltan Kovacs, ha corroborato precedenti rivelazioni fatte dal presidente serbo Aleksandar Vučić. Vučić e Orban «hanno deciso di costruire un oleodotto» dalla Serbia all’Ungheria, il che permetterà a Belgrado di «ricevere greggio a basso prezzo dagli Urali», ossia dalla Russia, collegandosi all’esistente «oleodotto dell’Amicizia», ha annunciato Kovacs su Twitter. La deliberazione, ha illustrato sempre Budapest, deriva dal fatto che per ora «la fornitura di petrolio alla Serbia» viene soddisfatta «in gran parte» attraverso «un oleodotto dalla Croazia, ma è improbabile che ciò sia possibile in futuro causa le sanzioni che sono state adottate». Kovacs ha così confermato quanto annunciato da Vučić sabato, durante un discorso alla nazione. «La Croazia si è dimostrata un fornitore non affidabile, abbiamo capito il messaggio», ha affermato il leader serbo, svelando subito dopo i piani di Belgrado per la costruzione, accanto all’esistente gasdotto serbo-magiaro, appunto di un nuovo oleodotto verso l’Ungheria, lungo 130 km e del costo di circa 100 milioni di euro. Si potrà così congiungere il Paese balcanico al braccio meridionale del cosiddetto “Druzhba”, quell’oleodotto dell’Amicizia costruito ai tempi dell’Urss per rifornire i Paesi del blocco socialista nell’Europa dell’Est. La Serbia, così come l’Ungheria di Orban, potrà così continuare a ricevere non solo gas, ma anche petrolio russo anche in futuro, via terra, una strada ancora non colpita dalle misure punitive o protetta da eccezioni ad hoc. Non solo. Si pensa, nell’ambito di un piano da 12 miliardi in sei anni, anche alla costruzione di interconnettori con Romania e soprattutto con l’Albania, per ricevere greggio anche da Iran e Venezuela.
Vučić – che ha pure rigettato un piano franco-tedesco sul Kosovo, che prevederebbe il via libera all’ingresso di Pristina all’Onu in cambio di una più rapida adesione alla Ue di Belgrado - ha anche fatto sapere che la Serbia è assai interessata a divenire «comproprietari» della centrale nucleare magiara di Paks. L’impianto è in via di potenziamento e modernizzazione sempre attraverso prestiti e tecnologia russa. E la necessità – ma anche mosse quantomeno controverse a livello Ue – non fanno che pigiare sull’acceleratore del sempre più saldo asse Orban-Vučić. E sulla triangolazione Ungheria-Serbia-Russia.
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