Niente intesa fra palazzi: rete diplomatica croata a corto di ambasciatori
Lo scontro politico fra premier e presidente fa mancare l’unanimità necessaria: una quarantina le nomine da fare.
Da Parigi a Tokyo e Washington: sguarnite sedi importanti, Vaticano compreso

ZAGABRIA A.A.A. Ambasciatore gradito a presidente della Repubblica e a primo ministro cercasi. Nomina immediata, buona retribuzione, notevoli benefit. Potrebbe essere questo un ipotetico annuncio pubblicato sui quotidiani della Croazia che da due anni a questa parte non trova un candidato adeguato.
In realtà i candidati ci sono. Il vero problema non è tanto la loro adeguatezza, le loro credenziali al ruolo che andrebbero a ricoprire, bensì l’essere riconosciuti idonei dal presidente della Repubblica, Zoran Milanović e dal premier Andrej Plenković. Socialdemocratico il primo (anche se in veste di presidente non ha una tessera di partito in tasca in quanto rappresenta tutti i croati), dell’Accadizeta il secondo, uomo di dialogo, di confronto anche se ideologicamente ben piantato. Ma la “Guerra dei Roses” in salsa croata che si sta combattendo da almeno due anni a questa parte non permette l’unanime consenso di entrambi alla nomina dei ambasciatori. E non stiamo parlando di numeri esigui e magari di sedi che è difficile individuare sul mappamondo. L’arretrato da smaltire parla di una quarantina tra consoli e ambasciatori la cui nomina sta lasciando sguarnite sedi prestigiose e geopoliticamente importanti, come Parigi, Tokyo, Washington, New Delhi e la Santa Sede. Quest’ultima ingiustificata assenza poi sta mettendo in fibrillazione la Chiesa cattolica croata che storicamente nel Paese ricopre un ruolo religioso, sociale e politico di non poco conto.
E così, il povero ministro degli Esteri, Gordan Grlić Radman è costretto agli straordinari. L’unico nome che è riuscito a superare la bufera tra capo dello Stato e premier è stato quello del nuovo ambasciatore in Serbia, Hido Biščević, la cui candidatura Milanović in realtà ha ereditato dal precedente presidente, Kolinda Grabar-Kitarović. Dopo Biščević il nulla.
Di recente, in un'intervista al quotidiano Večernji List di Zagabria, l'ambasciatore francese in Croazia, Gaël Veyssière, alla domanda su cosa pensasse del fatto che il Paese non abbia un ambasciatore a Parigi, ha risposto, ovviamente diplomaticamente, che: «Il fatto che non ci sia un ambasciatore di certo non va bene». Specialmente dopo i forti legami che il premier Plenković ha voluto stringere con il presidente francese Macron vuoi sull’asse europeo che su quello militare (giunge dalla Francia, infatti, la squadriglia di caccia Rafale acquistati da Zagabria ).
La disputa di politica estera tra Milanović e Plenković è solo la punta dell'iceberg delle loro reciproche controversie. Secondo la Costituzione, dovrebbero partecipare alla formulazione della politica estera, ma sono ben lontani dal farlo. Milanović afferma di voler impedire all'Hdz di «afferrare tutto ciò su cui può mettere le mani», e anche di voler distribuire geograficamente i candidati in modo tale che si sappia chi è responsabile di chi. Plenković insiste sul fatto che gli ambasciatori non rappresentino il premier o il presidente, ma il Paese. E così vengon “bruciati” nomi eccellenti come Davor Ivo Stier e Miro Kovac proposti da Plenkioić e i vari Mihael Zmajlović, Ranko Ostojić, Dragan Đurić, Ivo Goldstein propostiinvece da Milanović, tutti socialdemocratici e alcuni membri del suo governo quando era premier.
Gli stranieri non sanno a chi credere: al presidente Milanović o al primo ministro Plenković? Alcuni, tuttavia, si spingono ancora oltre e valutano ciò che sta accadendo come una sorta di “Cro-commedia di politica estera”.
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