Nella zona archeologica sulla costa di Valbandon trovate decine di colonne e una testa del dio Apollo
Straordinaria scoperta nell’area di una villa romana del IV secolo a.C. Il sito di scavi è considerato tra i più preziosi di tutto l’Adriatico orientale

C’è già chi usa l’aggettivo sensazioni per descrivere le scoperte archeologiche fatte sulla costa di Valbandon, più precisamente nella piccola insenatura ai lati della strada che porta a Fasana. Durante le operazioni di scavo per la costruzione della nuova banchina d’attracco, eseguite per conto dell’Autorità portuale, è venuto alla luce un tesoro che proviene da molto lontano, di grande impatto emotivo sulla comunità scientifica. Parliamo di un sito pieno zeppo di erme, piccole colonne di altezza variabile tra un metro e un metro e mezzo, sormontate da una testa scolpita a tutto tondo, che in origine raffiguravano quasi esclusivamente il dio greco Ermes. A Valbadon perè è stata trovata eccezionalmente anche una testa in marmo di Apollo.
Secondo le prime informazioni fornite dal Museo archeologico istriano il sito non ha uguali non solo lungo la costa istriana ma nemmeno lungo tutto l’Adriatico orientale. I primi esemplari di erme che si trovano a Atene risalgono a circa il 520 avanti Cristo. Poi in epoca romana l’erme si confondeva con il busto – ritratto. Erano in sostanza elementi decorativi di ville e orto giardini che al giorno d’oggi sono preziosi per capire nel dettaglio la struttura architettonica degli edifici romani. E la testa in marmo del dio Apollo, parte integrante di una grande scultura, è qualcosa di ancora più spettacolare. Gli esperti la paragonano come importanza alla scoperta della testa di Agrippina venuta alla luce una trentina di anni fa nelle vicinanze dell’antico Foro romano a Pola.
Tutti i reperti rinvenuti sono già in fase di conservazione e desalinizzazione. Sicuramente verranno trasferiti al Museo archeologico istriano, però c’è da scommettere sul fatto che almeno una piccola parte verrà esposta sul luogo del ritrovamento. Rimane comunque da definire il progetto di valorizzazione delle scoperte.
Il sito venuto alla luce è sicuramente da inquadrare nel contesto della villa romana usata dai signori per la villeggiatura di cui già si conosceva l’esistenza, qui abitata dal primo secolo alla fine del IV secolo. Venne costruita nel punto in cui l’acqua dolce di alcune sorgenti si mescola tutt’oggi con quella salata del mare, un ambiente ideale per l’allevamento del pesce praticato all’epoca.
I resti di questo che si può definire complesso di architettura antica di tipo residenziale, vennero scoperti tra il 1909 e il 1912 dallo storico e archeologo ceco Anton Gnirs. In base alla ricostruzione, due stanze della villa che si aprivano verso il mare presentavano una pavimentazione ornata con un mosaico di diversi colori, di cui sono rimasti numerosi frammenti. Trovati inoltre i resti di due portici e di due grandi contenitori d'acqua.
Gli studiosi affermano che alla villa romana appartenesse l’impianto di produzione di ceramica e di anfore del console romano Gaio Lecanio Basso a Fasana. Quest’ultimo possedeva una lussuosa villa rustica a Brioni. Le anfore recanti il timbro con il suo nome, venivano usate per trasportare via mare l’olio d’oliva in ogni parte dell'impero romano, fino alla Grecia e Cartagine come testimoniato dai resti delle anfore recanti il timbro di Lecanio.
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