Nel Kosovo del Nord i serbi non scendono dalle barricate, Borrell: «Sgombero»

Altissima la tensione nell’area con posti di confine bloccati e scontri a fuoco con gli agenti di Priština. Una bomba carta contro Eulex

Stefano Giantin

BELGRADO Nuova carne al fuoco, incidenti che inquietano, energici appelli alla calma prima che la situazione degeneri ulteriormente, mosse provocatorie. È stata un’altra giornata di alta tensione, quella di ieri, nel Nord del Kosovo a maggioranza serba, scosso da giorni da una nuova gravissima crisi, con i serbi letteralmente sulle barricate in particolare a causa dell’arresto di un ex agente di etnia serba, dopo la "guerra" sulle targhe e quella delle urne per il voto poi annullato del 18 dicembre.

A incendiare ancora di più gli animi, ieri, un vero e proprio giallo sull’arrivo delle forze speciali kosovare, i temutissimi “Rosu”, con blindati e armi, nell’area del lago artificiale di Gaživoda, strategica fonte idrica per l’intero Kosovo. A sostenerlo, malgrado smentite da parte di Pristina, è stato il direttore dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, Petar Petković. Azione che non avrebbe avuto alcun altro obiettivo che quello di aizzare i serbi, il premier kosovaro Kurti «vuole far scoppiare una guerra», ha attaccato Petković.

Ma anche altre azioni segnalano la pericolosità del momento. Nella tesissima notte tra sabato e domenica, a Nord sono stati registrati ben tre scontri a fuoco tra ignoti e polizia kosovara. Ad essere attaccata, con una bomba carta, anche una pattuglia di Eulex, la missione europea in Kosovo, senza che si registrassero feriti o danni materiali. Ma si tratta «di un fatto inaccettabile», ha stigmatizzato Eulex in una nota. L’Ue «non tollererà attacchi contro Eulex o altri atti criminali nel Nord, le barricate vanno sgombrate immediatamente», ha avvisato anche l’Alto rappresentante Ue agli Esteri, Josep Borrell. Ci sono però anche segnali relativamente confortanti. Malgrado tutto, i serbi del Nord continuano nella loro protesta in un’atmosfera eccitata, ma alle barricate vige una calma nervosa, senza incidenti. «Per tutti noi è fondamentale la pace e la continuazione del dialogo», il messaggio rappacificante lanciato sempre ieri da Goran Rakić, leader della Srpska Lista, partito che rappresenta gli interessi serbi in Kosovo.

Bisogna stare calmi, non raccogliete le provocazioni, così che anche questa crisi «possa essere risolta attraverso negoziati, non con mosse unilaterali», il messaggio di Rakić, poi radicalmente mutato nel pomeriggio, quando lo stesso leader della Lista ha svelato che Kurti avrebbe deciso «di spedire la Rosu in tutto il Nord, armata fino ai denti», per rimuovere le barricate. Contrastanti anche le parole della premier serba, Ana Brnabić, che ha assicurato che la Serbia è impegnata a favore di «pace e stabilità» e rispetta «tutti gli accordi presi attraverso il dialogo» con Pristina. Il problema sarebbe però Kurti, con le sue mosse «guerrafondaie». Per questo le proteste via barricate, «unico modo per farsi sentire», devono «rimanere pacifiche e democratiche», così che «vinca la pace, non Kurti». Kurti che, da parte sua ha accusato la Serbia di fomentare la crisi e ha assicurato di non «volere un conflitto, ma pace e progresso, risponderemo tuttavia alle aggressioni con tutta la forza che abbiamo». Il presidente serbo Vučić, da parte sua, ha convocato in serata il Consiglio per la sicurezza nazionale, per approntare nuove contromosse.

Belgrado non starà a guardare, «non c’è e non ci sarà alcuna resa», aveva assicurato in mattinata. Nel frattempo, ha spiegato il ministro degli Esteri Ivica Dačić, la Serbia non lascerà soli i serbi del Nord. Serbia, ha poi spiegato Dacic, che è realmente interessata a far rientrare la crisi e a tornare al tavolo negoziale. Ma ci sono delle «linee rosse» che non saranno mai superate. «Primo, non si può negoziare di nuovo su quanto si è già concordato», come la creazione della Comunità dei comuni serbi, invisa a Kurti. «Secondo, non ci sarà un riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo né il consenso all'ammissione del Kosovo alle Nazioni Unite. Terzo - ha chiarito Dačić - sono inammissibili attacchi fisici contro i serbi. E minacce alla loro sicurezza».

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