Migranti e detenuti portati dall’Europa: così i Balcani diventano il “nostro” carcere
Dopo il centro per il rimpatrio italiano in Albania e la prigione danese in Kosovo, anche Gran Bretagna e Usa ipotizzano lo spostamento dei propri indesiderati

Da decenni sono l’Eldorado per molte imprese straniere, interessate a insediare nella regione nuove linee produttive. Ma ora, i Balcani sono al centro di una nuova quanto controversa tendenza, destinata a far discutere: quella di diventare terra di “accoglienza” degli indesiderati dell’Europa più ricca. E forse persino dei respinti dagli Usa di Trump.
Lo suggeriscono diverse tessere di un complesso puzzle, che si sta ricomponendo proprio in queste settimane, protagonisti – loro malgrado – carcerati e stranieri, a cominciare dai migranti senza chance di ottenere asilo o in fase di rimpatrio forzato nei paesi d’origine come quelli che il Regno Unito vorrebbe spedire non più in Ruanda, ma nei più vicini Balcani, creando centri sul modello di quello voluto in Albania dal governo italiano retto da Giorgia Meloni.
Ad annunciare il progetto è stato lo stesso primo ministro britannico Keir Starmer. Non un esponente della destra europea, ma un laburista, che a inizio maggio ha spiegato come Londra stia da tempo «negoziando» con Stati stranieri per crearvi centri di rimpatrio, una «importante innovazione».
Successivamente, il Times ha rivelato ufficiosamente anche le nazioni passate in rassegna e messe sotto osservazione da Londra. Tra queste sicuramente l’Albania, ma il premier Rama ha chiuso le porte, «perché siamo fedeli al matrimonio con l’Italia», ha detto il leader albanese. Ci sarebbero poi anche Bosnia e Serbia. Ma soprattutto il Kosovo – che ha preso assai sul serio l’idea.
«Mi sento di poter dire che possiamo iniziare discussioni su questo tema, ma tutte le nostre istituzioni devono essere incluse» nell’analisi del progetto e poi «si deciderà sulla base delle loro opinioni», ha spiegato Perparim Kryeziu, portavoce del governo Kurti, in carica per gli affari correnti finché non si sbloccherà lo stallo politico post-elezioni di febbraio.
In Kosovo intanto arriveranno – e per certo – fino a 300 stranieri, finora detenuti nelle carceri della Danimarca. È il risultato di una contrastata intesa tra Pristina e Copenaghen, definita nel 2024, che prevede che la Danimarca paghi 200 milioni di euro a Pristina affinché accetti di accogliere i suoi detenuti. Questi sconteranno la pena rimanente in una prigione a Pasjak, oggi in via di ristrutturazione, per poi venire espulsi e rimpatriati nei paesi d’origine.
E dopo aver siglato l’intesa – criticata da ong, Comitato Onu contro la tortura e dallo European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment – «abbiamo ricevuto richieste simili da altri paesi europei, con l’offerta di grandi somme di denaro», ha svelato all’agenzia Afp il direttore delle carceri kosovare, Ismail Dibrani.
Non è finita. Ai Balcani – e alla Serbia in particolare – guarderebbe con interesse persino Trump, che avrebbe chiesto a paesi della regione di accettare migranti di cui gli Usa hanno deciso la deportazione, ha sostenuto l’agenzia Bloomberg, che ha ricordato gli interessi immobiliari dei Trump in Serbia, leggi il mega hotel al posto del Generalštab a Belgrado.
Ma è legittimo e morale pensare ai Balcani come “deposito” di indesiderati? Nessun problema, ma c’è un rischio sicurezza per «il pericolo di infiltrazioni russe» nei possibili futuri centri gestiti da Londra nei Balcani, ha avvisato il servizio segreto Mi6 a proposito dei piani di Starmer, hanno svelato i media inglesi. Ma c’è anche qualcuno poi che si interroga sull’eticità di tali progetti.
L’autorevole Human Rights Watch ha chiesto così a Ue e Regno Unito di «non considerare» la regione come una «discarica». Dove spedire migranti rifiutati dall’Europa più ricca o «chi è in transito verso la Ue».
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