L’ambasciatore Di Ruzza: «Lo status di Paese candidato darà una scossa alla Bosnia, l’Italia vuole l’integrazione»
L’analisi del capo della diplomazia italiana a Sarajevo dopo l’avvio del percorso di adesione all’Ue: «Le spinte separatiste sono ancora un pericolo ma la popolazione chiede coesione e sviluppo»

Un passo doveroso, per una nazione che lo merita e che sarà sostenuta dall’Italia nella strada verso l’Ue. Legge così la concessione alla Bosnia-Erzegovina dello status di Paese candidato all’adesione Marco Di Ruzza, l’ambasciatore italiano a Sarajevo.
Quanto è significativa la concessione dello status?
«Si tratta di un evento storico e di un segnale politico e morale. L’Opinione della Commissione Europea del maggio 2019 aveva individuato le direttrici cui il Paese avrebbe dovuto orientare le proprie riforme per dare credibilità alle sue aspirazioni europee. Tali aspettative sono state solo in parte soddisfatte, il percorso riformatore è stato rallentato da crisi politico-istituzionali. Ma il mutato contesto geopolitico, unitamente ad una serie di sviluppi positivi registrati negli ultimi mesi, ha tuttavia ridisegnato gli scenari. Lo status vuole essere un segnale politico forte. E una “scossa” per il Paese».
Pensa che i bosniaci abbiano superato quel senso di ingiustizia provato nel vedersi “superare” a giugno da Ucraina e Georgia, candidate prima della Bosnia?
«Quella sensazione è ben comprensibile per quei partner, come l’Italia, che negli anni si sono impegnati per dare linfa alle prospettive di integrazione europea della Bosnia. D’altro canto, una decisione a giugno avrebbe potuto essere interpretata come una “ingiusta ricompensa”, in una fase pre-elettorale, a beneficio di quella classe politica che spesso ha mancato di soddisfare le istanze riformatrici che la Commissione Europea aveva identificato. L’accordo politico raggiunto a giugno a Bruxelles tra il Presidente del Consiglio Europeo Michel e i partiti bosniaco-erzegovesi ha già prodotto risultati in termini di avanzamento del percorso riformatore. E la decisione del Consiglio è un’iniezione di fiducia alla società civile e un incoraggiamento alle nuove autorità legislative ed esecutive perché portino avanti il cammino riformatore».
Ritiene che le leadership del Paese, al potere da decenni, e la complessa struttura politica basata su Dayton siano in grado di “reggere" le sfide del processo d’adesione?
«Non c’è dubbio che la struttura istituzionale risultante dagli accordi di Dayton sia alquanto macchinosa e contribuisca a rendere il paese ostaggio di veti e contro-veti. La citata opinione della Commissione contempla anche un parziale superamento dell’architettura di Dayton, con riforme elettorali e costituzionali che consentano di attuare alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Cedu e di migliorare la funzionalità istituzionale del Paese. Sarà fondamentale che le nuove autorità di governo riprendano in mano tale processo e alcuni segnali incoraggianti sono già maturati».
Quali rischi derivano dalle pulsioni secessionistiche che ancora scuotono il Paese? E quali ritiene siano oggi le maggiori debolezze in Bosnia?
«Le spinte separatiste e la retorica etno-nazionalista sono pericolose nella misura in cui rischiano di destabilizzare un Paese che ha invece bisogno di coesione e unità di intenti. E le priorità avvertite dalla popolazione sono ben nitide: sviluppo socio-economico, accesso a servizi, efficienza del settore pubblico, contrasto alla corruzione, lavoro. Si tratta di rivendicazioni che accomunano tutti i cittadini, indipendentemente dall’affiliazione politica, etnica o religiosa. Qui si celano le ragioni che spingono purtroppo ogni anno decine di migliaia di giovani a lasciare il Paese, la principale vulnerabilità del Paese».
Quali i rischi che derivano dai ritardi nel processo d’allargamento, non solo in Bosnia?
«Non vi è valida alternativa all’integrazione europea. L’Ue e i suoi Stati membri sono i maggiori investitori e partner economico-commerciali della regione. I giovani sono già a tutti gli effetti giovani europei, che studiano, viaggiano e hanno rapporti con gli omologhi nell’Unione. Ma se il processo di integrazione europea non proseguirà a ritmo adeguato e, soprattutto, se non sarà percepito come credibile dai nostri partner della regione, lo spazio lasciato vuoto dall’Europa rischia di essere colmato da altri player, dall’agenda politica non coincidente con la nostra. La velocità dell’allargamento è direttamente proporzionale al ritmo delle riforme condotte dai Paesi candidati: ma è anche dovere dell’Ue garantire attendibilità e integrità del processo».
Pensa che l’Europa stia facendo abbastanza per tenere i Balcani “legati” all’Europa?
«Rafforzare la prospettiva europea della regione serve anche ad arginare il rischio di un allargamento dell’influenza di “potenze esterne”. La concessione dello status di candidato ha voluto ribadire che l’Ue rimane l’unica naturale famiglia di riferimento per i Balcani Occidentali. Ue che continua a mobilitare risorse imponenti per favorire l’ancoraggio europeo dell’area, ha varato un importante “pacchetto energia”. È parimenti necessario che tale assistenza finanziaria ed economica sia agganciata a chiare misure di condizionalità».
Che ruolo può giocare l’Italia nel velocizzare il processo d’allargamento?
«L’Italia, come ribadito più volte dallo stesso ministro Tajani, continua ad essere tra i più convinti sostenitori del processo di integrazione europea ai Balcani, con l’impegno italiano che si contraddistingue per la forza della coerenza e della concretezza. È per questo che ci viene riconosciuto nel Paese un ruolo rilevante e costruttivo e veniamo visti come un interlocutore amico e affidabile. Non è stata dimenticata l’azione solidale che da parte italiana, sia a livello istituzionale che di società civile, venne messa in campo per sostenere la popolazione durante la guerra, né i progetti protesi ad allineare il Paese agli standard tecnici e giuridici Ue o l’importante azione della nostra Cooperazione allo Sviluppo e di numerose istituzioni italiane. Siamo anche il primo Paese esportatore e vantiamo un’ampia rete di aziende integrate in diversi settori produttivi, siamo il più importante partner culturale del Paese. E siamo orgogliosi di essere riusciti a rimettere in moto il progetto di costruzione del Museo di arte contemporanea “Ars Aevi”, disegnato da Renzo Piano. Un’iniziativa nella quale crediamo fortemente sia per il tocco di italianità che sin dall’inizio ha connotato la prestigiosa collezione, sia per l’anima poliedrica e multi-etnica del progetto. Che ne fa simbolo ideale di una Bosnia-Erzegovina moderna, cosmopolita, proiettata verso un futuro europeo».
Riproduzione riservata © il Nord Est