L’alto rappresentante per la Bosnia all’Onu: «Crisi eccezionale». E la Russia lo attacca

Schmidt illustra la situazione del paese Consiglio di sicurezza. Sotto accusa le mosse di Dodik. La preoccupazione degli Usa

 

Stefano Giantin
Christian Schmidt, alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina durante l’intervento all’Onu
Christian Schmidt, alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina durante l’intervento all’Onu

Da una parte un discorso appassionato, a tratti dai toni drammatici, un vero e proprio allarme – e sempre più assordante – sulla tenuta di un complicato e nevralgico Paese balcanico.

Dall’altra, una grande potenza – pari a oggi, almeno a Occidente, la Russia –, che fa orecchie da mercante e contrattacca, mentre altri grandi, come gli Usa, si dicono alquanto preoccupati per il quadro generale.

Il quadro riguarda la Bosnia-Erzegovina, nazione indebolita e fratturata dalla più grave crisi politica e istituzionale della sua storia recente, causata dal muro contro muro tra la leadership serbo-bosniaca e l’autorità centrali. E proprio lo stato di salute del Paese balcanico è stato al centro di una infuocata seduta del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Protagonista al consesso è stato l’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, il tedesco Christian Schmidt, che gioca il difficile ruolo di vigilanza sul rispetto degli accordi di pace di Dayton, intese che posero fine alla sanguinosa guerra degli anni Novanta e gettarono le basi per la Costituzione che ancora oggi tiene insieme la Bosnia.

Ma proprio quella complessa struttura costituzionale oggi è a rischio, ha denunciato Schmidt, presentando il suo rapporto semestrale, dove ha parlato espressamente di «crisi straordinaria», la peggiore dai tempi di Dayton.

Instabilità e turbolenza che stanno conoscendo l’apice quest’anno, dopo che i primi mesi del 2025 «sono stati segnati da un significativo aumento delle tensioni», una «crisi politica» che al momento non è una «crisi di sicurezza». Ma tutto può cambiare.

La miccia, ha ricordato Schmidt, è stata la condanna in primo grado a un anno di carcere e sei di interdizione dai pubblici uffici del presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, leader filorusso e nazionalista e dalle dichiarate pulsioni secessionistiche. La condanna, ricordiamo, è stata emessa proprio per il rifiuto di Dodik di riconoscere l’autorità e di ubbidire alle decisioni di Schmidt.

«Dopo la sentenza, Dodik ha intensificato i suoi attacchi all’ordine costituzionale del Paese, ordinando alle autorità della Repubblica Srpska (Rs)», l’entità politica dei serbi di Bosnia, di adottare «una legislazione che di fatto vieta l’operato della magistratura e delle forze dell’ordine» centrali all’interno della Rs, arrivando persino «a proporre una bozza di costituzione per l’entità» che evoca «una secessione di fatto», ha spiegato Schmidt ai membri del Consiglio. Di certo, le mosse di Dodik e del suo entourage «mettono a rischio l’integrità territoriale e i fondamenti della società» bosniaca, perché si tratta di veri e propri «atti secessionistici» che creano «insicurezza giuridica». E solo l’attenzione della Consulta e di Schmidt avrebbero per ora evitato il peggio.

Ma potrebbe non bastare. Gli sviluppi attuali «non sono irreversibili, ma severi e vanno affrontati senza ritardi, con un impegno attivo della comunità internazionale», qualcosa che non si sarebbe potuta immagine «trent’anni fa». Ma non tutti si sono detti d’accordo. Anzi, è andata peggio. «Vogliamo precisare la nostra contrarietà alla presenza a questo incontro del signor Schmidt, cosiddetto Alto rappresentante», cui l’Onu «non ha mai dato un mandato», il durissimo attacco dell’ambasciatore russo Vassily Nebenzia.

«Schmidt non ha diritto di parlare a nome della comunità internazionale» e per di più «si è screditato da solo tentando di usurpare poteri in Bosnia», ha rincarato Nebenzia. Che è andata oltre, accusando il tedesco di voler «strangolare tutto ciò che di serbo c’è in Bosnia», con la «complicità» dell’Occidente.

«Guardiamo con preoccupazione» a quanto accade in Bosnia, hanno detto invece gli Usa, che hanno condannato «secessione e retorica destabilizzante». E promesso «impegno per la stabilità». Di un Paese sempre più a rischio. —

 

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