La prima visita in Kosovo della premier serba

Brnabić nel nord del Paese: «Stabilità e tolleranza». La replica a Macron e Scholz: «Mai fuggiti da decisioni difficili». A dare luce verde alla visita era stato il premier kosovaro Albin Kurti
Stefano Giantin

BELGRADO Qualche segnale di disgelo dopo le tempeste delle scorse settimane e la successiva intesa in extremis sui documenti personali. E la volontà di «compromesso» che sembra poter tornare sul tavolo, con un po’ di sereno, sul delicato asse tra Serbia e Kosovo. È questo il senso della prima visita nel Kosovo, a suo modo storica, della premier serba Ana Brnabić, per un giorno intero nel nord, dove vivono in stragrande maggioranza serbi.

A dare luce verde alla visita, gesto positivo, era stato il premier kosovaro Albin Kurti, che aveva anticipato – con riferimento alle ultime diatribe su documenti e targhe automobilistiche – che la premier avrebbe potuto «entrare liberamente in Kosovo con la carta d’identità serba», apprezzando «come funziona un Paese democratico», indipendente dalla Serbia.

Caduto il veto di Pristina, durato per anni, Brnabić è sbarcata a Mitrovica nord, la parte serba della Berlino in miniatura, divisa dal fiume Ibar. E anche lì ci sono state parole pesate da parte sua. «Voglio lanciare un messaggio chiaro, di pace, stabilità e tolleranza» e solo in questo quadro è possibile immaginare un qualche «compromesso», ha detto. Su tutto la garanzia, ha aggiunto Brnabić citando il presidente serbo Aleksandar Vučić, che «saremo sempre a fianco del nostro popolo in Kosovo e Metohija». «Benvenuta nella nostra Terra santa», «abbiamo solo una premier, Brnabić» e «finché ci sono Vučić e Brnabić non abbiamo paura di nulla», si leggeva su alcuni dei cartelli innalzati dalla folla di serbi.

Ma il dettaglio più significativo della visita sono state alcune frasi di Brnabić, collegate alla lettera congiunta inviata domenica dal presidente francese Macron e dal cancelliere tedesco Scholz a Vučić – e arrivata anche a Kurti, è emerso ieri – in cui si chiedeva impegno finalmente sincero verso la «piena normalizzazione» dei rapporti Serbia-Kosovo. E il coraggio di prendere «decisioni difficili» da parte dei leader balcanici, Vučić in testa: un riferimento che molti nella regione hanno letto come un appello al riconoscimento di Pristina.

La Serbia, ha replicato ieri la premier, «non è mai fuggita dalle decisioni difficili», ma queste sono state in passato e andranno eventualmente prese «nell’interesse della Serbia e dei nostri cittadini», ha precisato. Sarebbe invece Pristina a sottrarsi alle sue responsabilità, al Kosovo si riferiva quel passo controverso nella lettera, ha aggiunto, auspicando che la Ue in particolare faccia pressioni su Pristina affinché venga finalmente istituita la concordata Comunità delle municipalità serbe, vista come il fumo negli occhi in Kosovo, attesa da Belgrado e dai serbi del nord del Kosovo.

Sempre ieri - altro segnale di distensione - alcuni ministri kosovari hanno visitato le zone a maggioranza albanese nel sud della Serbia. Distensione che dovrà tradursi in atti concreti, è la speranza che circola a Parigi e Berlino. Lo conferma, oltre alla lettera di Macron e Scholz a Vučić e Kurti, anche la visita a Belgrado e Pristina annunciata per il 9 settembre del Rappresentante speciale Ue per il dialogo Serbia-Kosovo, Miroslav Lajcak. Con Lajcak arriveranno nei Balcani due consiglieri speciali di Macron e Scholz, ora direttamente coinvolti nei complicati negoziati che dovrebbero un giorno portare alla “normalizzazione” piena dei rapporti tra Serbia e Kosovo.

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