La Nato rinforza le truppe in Kosovo: «Pronti per garantire la sicurezza»

Radoičić, vicepresidente del partito serbo a Pristina, ammette di avere fatto parte del commando
Stefano Giantin
Due militari della Kfor, la missione Nato in Kosovo
Due militari della Kfor, la missione Nato in Kosovo

BELGRADO L’esplosione di violenza di domenica scorsa nel nord del Kosovo potrebbe non rimanere un caso isolato, in una regione sempre più instabile. E allora servono contromisure immediate, per evitare di farsi trovare impreparati. È la strategia annunciata venerdì dalla Nato, che dopo una riunione del Consiglio Atlantico ha deciso di autorizzare l’invio nell’ex provincia serba di «ulteriori forze per fare fronte alla situazione attuale».

Una mossa che fa il paio con quella fatta in primavera, quando l’Alleanza atlantica aveva già rafforzato i numeri della missione Nato in Kosovo, la Kfor.

La Nato non ha voluto precisare su quanti uomini e mezzi in più potrà contare la Kfor, ma «continueremo ad assicurare» che il suo comando, passato in queste settimane da mano italiana a quella della Turchia, abbia sempre le «forze necessarie» per garantire la sicurezza in Kosovo, in particolare nel nord a maggioranza serba, ha dichiarato la Nato. La decisione presa ieri conferma la «profonda preoccupazione» degli Alleati per la situazione che si è creata nell’area, ha confermato il Segretario generale Nato, Jens Stoltenberg, che ha assicurato che la Kfor è pronta a «intraprendere tutte le azioni necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto e la libertà di movimento per tutti».

Parole, quelle di Stoltenberg, che potrebbero preludere a un maggior impegno della Nato in particolare a nord, un passo auspicato in questi giorni dal presidente serbo Aleksandar Vučić ma anche dal premier albanese Edi Rama, che ha di fatto suggerito che la via più logica al momento per evitare un’ulteriore escalation sarebbe quella di affidare interamente alla Nato il controllo delle aree a maggioranza serba in Kosovo. L’Alleanza atlantica si è così detta pronta, sempre «se necessario», ad apportare «ulteriori modifiche alla posizione della Kfor», come si legge nel comunicato emesso ieri, in cui inoltre essa chiede «a tutte le parti un urgente allentamento della tensione».

Tensione che intanto continua a covare, neppure troppo sotto la cenere, nel nord del Kosovo. Nord che ieri mattina è stato svegliato da una massiccia operazione della polizia kosovara, armata fino ai denti trasportata su blindati, che ha effettuato perquisizioni e controlli a Mitrovica nord e in altre località abitate da serbi, in ristoranti, negozi, persino in un ospedale. E tra gli immobili interessati dall’operazione ce n’era uno ricollegabile a Milan Radoičić, controverso businessman e vicepresidente della Srpska Lista (Sl), il maggior partito serbo in Kosovo, apertamente accusato da Pristina di essere stato il capo del commando armato serbo a Banjska. E dopo giorni di buio sul caso, ieri pomeriggio è esplosa una notizia-bomba. Lo stesso Radoičić, dimessosi ieri dalla Sl, ha infatti emesso una nota in cui ha ammesso le sue responsabilità, uno sviluppo inatteso. «Insieme ai miei compatrioti il 24 settembre sono arrivato nel nord, nell’area di Banjska» ha esordito Radoičić attraverso i suoi avvocati, negando poi di aver avuto appoggi da Belgrado. Radoičić avrebbe voluto organizzare, assieme a un gruppo di sostenitori-paramilitari, una sorta di «difesa del popolo serbo dagli occupanti», una resistenza armata contro Pristina. L’uccisione dell’agente kosovaro sarebbe stato poi solo un incidente dovuto a un’esplosione, non un’imboscata. E «non siamo terroristi, ma combattenti per la libertà della nostra gente», ha assicurato Radoičić.

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