La Bosnia-Erzegovina punta all’Unesco per l’antica “sevdalinka”: «Una musica dell’anima che unisce tutte le etnie»

Sarajevo chiede che il genere artistico, una sorta di fado locale, sia inserito nell’elenco dei patrimoni immateriali

Stefano Giantin
Sarajevo, uno scorcio della città in una foto d’archivio
Sarajevo, uno scorcio della città in una foto d’archivio

BELGRADO In una guerra, fra le più crudeli e sanguinose perché civile e combattuta fra persone che avevano convissuto pacificamente fino al giorno prima, non c’è solo l’eliminazione fisica del nemico, ma anche la cancellazione della sua storia e memoria.

In Bosnia negli Anni Novanta non ci furono così solo assedi feroci, massacri e pulizia etnica: vennero anche fatti saltare ponti patrimonio dell’umanità, come quello di Mostar, furono colpite e bruciate Biblioteche, come quella di Sarajevo, abbattute moschee e minareti, come a Banja Luka.

Qualcosa tuttavia non si può distruggere, neppure nei conflitti più spietati: è qualcosa di astratto e al contempo materiale, una musica antica che commuove tutti. E che per queste ragioni merita di essere onorata, con l’inserimento nella lista dei patrimoni immateriali dell’Unesco.

Parliamo della sevdalinka o sevdah, genere musicale che avrebbe almeno 400 anni, che evoca storie di passione e nostalgia, etimologia turco-ottomana, araba o persiana: sevda può voler dire amore, malinconia o bile nera. O forse tutte queste cose insieme.

Sevdalinka o sevdah, di fatto una sorta di fado bosniaco, è in corsa – e ha tutte le carte in regola per centrare l’obiettivo – per essere inserito quest’anno nell’ambita lista dell’Unesco, anche perché è uno dei pochi, forse l’unico collante per tutte le etnie del Paese, anzi un filo rosso che lega i Balcani, inclusi vecchi nemici.

Da qui l’iniziativa che stanno conducendo funzionari bosniaci all’Unesco per ottenere l’importante riconoscimento, dopo tanti ritardi, hanno confermato i media locali.

«I palazzi possono essere distrutti, il patrimonio materiale pure, ma quello che è intangibile, ciò che i popoli portano dentro è eterno e sacro», ha così spiegato a Radio Slobodna Evropa la consigliera del Museo della Bosnia orientale, Vesna Isabegović. La musica sevdah dimostra che «c’è qualcosa che ci unisce», ha aggiunto.

E proprio questo tratto della sevdalinka, oltre alla sua storia secolare e al valore artistico, dovrebbe convincere l’Unesco a fare il gran passo.

È quanto chiede la domanda di “nomination” presentata dalla Bosnia, numero 01872, pronta per essere esaminata e votata a Parigi.

La sevdalinka, pur avendo origine «in un contesto urbano musulmano», fa vibrare l’anima e viene ascoltata da tutti, in Bosnia, vi si legge. È infatti «una canzone d’amore, che non ha componenti che provocano odio o discriminazione e per questo ci mette in relazione, a prescindere dall’origine etnica, religiosa o sociale», specifica il documento.

Non solo. In una società ancora profondamente divisa da steccati etnici, come quella della Bosnia-Erzegovina moderna, la «sevdalinka è un importante fattore di coesione, accettato, apprezzato e promosso da persone di tutti i gruppi etnici e dalle minoranze», hanno assicurato i promotori dell’iniziativa, che hanno ricordato come la musica sia protetta e diffusa, studiata all’università, celebrata nei festival di Ilidza, Vogosca e Tuzla.

E proprio da Tuzla nel 2017 era stata lanciata, su iniziativa dell’Associazione dei musicisti locali, l’iniziativa per l’inserimento delle sevdalinke nel patrimonio Unesco, subito sostenuta dalle autorità politiche bosniache.

Ora la palla passa direttamente all’Unesco, che dovrebbe esprimersi «entro la fine del 2024 o al massimo nel 2025», ha fatto sapere il direttore dell’ufficio Unesco a Sarajevo, Sinisa Sesum. Con un prestigioso riconoscimento alla sevdalinka, musica che appartiene davvero a tutti.

Riproduzione riservata © il Nord Est