Il Kosovo apre al pressing di Trump: «Ospiteremo migranti dagli Usa»
Il premier Kurti accoglie la richiesta: «Fino a 50 persone per un anno, in attesa del rimpatrio nel loro paese»

È da sempre considerato il paese più filo-americano nei Balcani, con Washington vista come la stella polare da seguire, il modello a cui aspirare e l’alleato più fedele dai tempi della guerra del 1999 e soprattutto della dichiarazione di indipendenza del 2008, malgrado un certo raffreddamento nei rapporti degli ultimi anni.
E allora quando Washington chiama – anche se fa richieste ardite – si risponde. E la risposta, quella del premier kosovaro ad interim, Albin Kurti, è arrivata proprio ieri, mercoledì 11 giugno.
Con l’annuncio a sorpresa – una vera notizia bomba – che il Kosovo ha deciso di accettare sul suo territorio migranti espulsi dagli Stati Uniti, proprio mentre negli Usa dilagano le proteste contro la mano dura di Trump in tema di immigrazione.
Il sì di Pristina è stato pronunciato dopo una richiesta della stessa amministrazione Trump che, la settimana scorsa, avrebbe contattato in particolare svariati paesi balcanici proprio per trovare nazioni dove “sbolognare” stranieri indesiderati, in attesa che questi possano essere rispediti nei paesi d’origine.
Secondo rivelazioni dell’agenzia Bloomberg, ora di fatto indirettamente confermate dalla mossa di Kurti, in testa nelle preferenze di Washington c’era la Serbia, che tuttavia non ha dato segnali di essere interessata allo spinoso affare. Kurti ha invece messo fuori la freccia, facendo diventare proprio il Kosovo la prima nazione in Europa disposta ad accogliere le discutibili richieste degli Usa.
Il Kosovo «accetterà fino a 50 persone per il periodo di un anno, con l’obiettivo di facilitare il loro ritorno sicuro nei Paesi d’origine», ha spiegato Kurti via Facebook, dopo un consiglio dei ministri che ha dato via libera all’iniziativa.
L’iniziativa, ha continuato Kurti, prevede una «selezione» dei migranti cacciati dagli Usa, con Pristina che potrà scegliere «da una lista» e ammettere solo le persone che «soddisfano determinati criteri relativi allo stato di diritto e all’ordine pubblico».
Gli espulsi dagli Usa, dopo essere stati deportati in Kosovo, saranno «sottoposti alla legislazione in vigore nel paese e godranno dei diritti stabiliti dalla legge», ha aggiunto il leader di Vetevendosje, senza specificare nei dettagli se gli stranieri saranno posti in stato di detenzione e quanto rimarranno in Kosovo prima del rimpatrio forzato.
Di certo, la decisione di Pristina è anche e soprattutto politica. Il Kosovo, ha specificato Kurti, «sarà sempre un fedele alleato» di Washington e gli Usa «rimangono i nostri solidi partner» a Occidente, ha tenuto a puntualizzare il premier ad interim, impelagato dalle elezioni di febbraio in una lunghissima e all’apparenza irrisolvibile crisi politica, con Parlamento paralizzato e nuovo governo lontana chimera.
Cosa otterrà in cambio Pristina? Nessuno lo sa, ma lo stesso Kurti ha suggerito di attendere che Washington continui a essere lo sponsor più forte «del nostro percorso verso l’integrazione euro-atlantica».
Il Kosovo non è nuovo a iniziative estemporanee. Molto ha fatto discutere l’accordo con la Danimarca, che spedirà a Pristina fino a 300 carcerati stranieri, in cambio di 200 milioni di euro. E sempre il governo ad interim di Kurti ha suggerito di essere più che aperto a discutere anche con il Regno Unito per far entrare nel paese stranieri a cui è stato negato l’asilo o che, per altre ragioni, devono essere espulsi dalla Gran Bretagna. —
Riproduzione riservata © il Nord Est