Condannato per un post con offese l’ex premier sloveno Janša ora spera nei giudici europei
Aveva insultato due giornaliste. Dopo le sentenze contrarie, il tentativo alla Corte dei diritti dell’uomo

Può un leader politico insultare apertamente dei giornalisti di fama, sostenendo di aver espresso solo opinioni politiche e parandosi dietro il diritto di critica? No, hanno più volte ribadito i tribunali nazionali e persino la Corte costituzionale, che ha confermato una condanna per diffamazione. Ma il protagonista della storia non si arrende.
E ora la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), in un procedimento destinato a far discutere e a creare un precedente importante, sembra finalmente muoversi per dirimere una questione che va oltre i confini nazionali.
Questione che riguarda la Slovenia e soprattutto Janez Janša, ex premier sloveno, leader del più importante partito di opposizione a Lubiana, l’Sds, ma anche mattatore, prima su Twitter e poi su X, piattaforma social da lui usata con esasperata assiduità quale podio virtuale per arringhe e attacchi di varia natura, frequentata a tal punto da Jansa da meritarsi il soprannome di “Maresciallo Tweeto”.
Slovenia e Janša a cui la Cedu ha ufficialmente chiesto chiarimenti sul ricorso presentato l’anno scorso dallo stesso ex premier sloveno, contro la sua condanna per diffamazione, comminatagli per aver offeso via social la giornalista slovena Eugenija Carl e la collega Mojca Šetinc Pašek, anche lei una ex della Tv pubblica di Lubiana, oggi deputata in Parlamento. Condanna, ricordiamo, che è stata pronunciata dopo che Janša via Twitter, nel 2016, aveva sostenuto che una «pagina Facebook di un bordello» avrebbe offerto «servizi economici da parte di prostitute ripulite, Eugenija C. e Mojca P.Š.: una, alla tariffa di 30 euro, e l’altra, di 35». Asserzioni volgari a cui avevano replicato per vie legali, sia penali sia civili, le destinatarie delle offese via Twitter, aprendo le danze di una lunga e accidentata battaglia nei tribunali.
Nel 2018, un tribunale distrettuale di Celje aveva condannato Janša a tre mesi, pena sospesa, ma una Corte di livello superiore aveva successivamente ordinato la ripetizione del processo, riaperto nel 2021. Nel febbraio del 2022, una nuova batosta per Janša, con una nuova condanna relativa al caso del tweet, sempre a tre mesi e al pagamento delle spese processuali. Caso che, per volontà di Janša, era arrivato in appello fino alla Corte costituzionale, con i suoi avvocati che avevano sostenuto che la sentenza avrebbe minato «il diritto di espressione». La Consulta di Lubiana aveva tuttavia nuovamente respinto le pretese del leader del centrodestra sloveno, confermando la bontà delle sentenze dei tribunali del Paese. E rinnovando la condanna per gli insulti «degradanti» verso donne e giornaliste.
Il diritto di espressione ha dei «limiti», avevano ricordato i giudici costituzionali, sottolineando che la posizione politica non gli garantisce la libertà di lanciare offese «ad personam», per di più al di fuori del perimetro del pubblico interesse. Ma Janša non si è arreso e, nel luglio 2024, si è rivolto direttamente alla Cedu, ribadendo di essere nel giusto e di aver criticato giornalisti che sarebbero stati considerati «parziali». Ora, la palla passa alla Cedu, che ha già fatto riferimento ad altri casi simili, contro Turchia, Ungheria, Macedonia del Nord e Armenia, condannate per aver violato la libertà di espressione. «Chiunque ha il diritto di ricorrere a tutti i mezzi legali a sua disposizione, se si accorge di aver subito un torto. Auguro a Janša buona fortuna. Ma qualunque sia l’esito a Strasburgo, il post degradante e misogino non potrà mai essere cancellato o rinnegato», la posizione di una delle parti offese, Eugenija Carl. —
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