In Serbia il giallo dei telefonini finiti nella rete delle intercettazioni
Attivisti critici delle autorità al potere allertati da Apple: il sospetto di un «attacco sponsorizzato da agenti statali»

BELGRADO Almeno due casi comprovati di attivisti e critici delle autorità al potere finiti nel mirino di sofisticati spyware, ovvero software - generalmente in mano soltanto a governi - sviluppati per spiare e raccogliere dati e informazioni private da telefoni cellulari. Non accade solo in Russia, Armenia, Thailandia o Marocco, ma anche nel cuore dei Balcani, in Serbia. In Serbia infatti due membri della società civile filo-europea, il cui nome non è stato reso noto per ragioni di sicurezza, hanno di recente ricevuto dalla Apple un avviso urgente, assieme ad altri attivisti in giro per il mondo, perché sospettati di essere stati vittime di un «attacco sponsorizzato da agenti statali».
La veridicità del caso, che sta ora facendo il giro del mondo, è stata confermata da esperti della Share Foundation, Citizen Lab (Uni Toronto), Access Now e da Amnesty International, che hanno reclutato esperti forensi di sistemi digitali. Sui telefonini delle due vittime sono state «trovate tracce di tentativi di attacco», sferrati sfruttando una vulnerabilità poi risolta da Apple. I due attivisti avevano aggiornato i propri telefoni con la versione più recente del sistema operativo, evitando che gli attacchi andassero a buon fine. Non si sa che tipo di spyware sia stato usato, ma i tecnici coinvolti hanno suggerito che si possa trattare del famigerato Pegasus, che sarebbe stato utilizzato anche per monitorare giornalisti in Ungheria, Polonia e oltre.
Di certo, quello che si sa «è estremamente preoccupante per lo stato di diritto e la democrazia in Serbia», ha commentato Natalia Krapica di Access Now, mentre Amnesty ha informato di avere raccolto altre prove proprio sull’uso di Pegasus nei confronti di altri «membri della società civile serba, negli scorsi mesi». «Parliamo di un caso estremamente serio ed è solo la punta dell’iceberg», conferma a Il Piccolo Srdjan Cvijić, presidente del Comitato internazionale di advisory del Belgrade Centre for Security Policy, collegando il tutto anche un altro possibile scandalo legato alla «raccolta illegale di foto e video privati di politici di opposizione usati in campagne di diffamazione» nelle ultime settimane.
Di «grave» episodio parla anche il direttore della Share Foundation, Danilo Krivokapić: si tratta «dei primi due casi documentati di tentati attacchi con spyware sofisticati conosciuti in Serbia». Attacchi di questo genere, continua l’esperto, «hanno un impatto negativo sulla democrazia e sui diritti umani, erodono lo spazio civile sopprimendo il diritto alla privacy, la libertà d’espressione e di associazione, specialmente in vista delle elezioni anticipate che si terranno in Serbia a dicembre».
«Al momento non abbiamo informazioni o dati che possano indicare chi è responsabile», precisa infine Krivokapić. Sulla responsabilità degli attacchi «basta collegare i puntini», suggerisce invece Cvijić. Chi è al potere a Belgrado «possiede lo spyware necessario e non esita ad aggredire organizzazioni della società civile e opposizioni su base quotidiana». Ma una delle vittime ha suggerito al Washington Post anche l’opzione Russia, perché gli attivisti nel mirino si erano dimostrati critici verso Mosca appunto, mentre il Citizen Lab ha puntato l'indice contro i servizi serbi.
In ogni caso, casi del genere non fanno certo ben sperare sul clima politico in vista delle elezioni del 17 dicembre, che vedono sì l’Sns del presidente Aleksandar Vučić quotato al 40%, in dirittura d’arrivo per una nuova vittoria, ma anche opposizioni agguerrite, seppur divise, pronte a dare battaglia, soprattutto per la conquista di Belgrado.
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