Il presidente Vučić: sì all’ingresso della Serbia nell’Unione europea. E apre alle sanzioni alla Russia

BELGRADO No al Kosovo nelle Nazioni Unite, ma bisogna dialogare sulla base del piano franco-tedesco per evitare la mano dura dell’Occidente, mantenendo dritta la rotta verso l’adesione alla Ue, malgrado l’alzata di scudi delle opposizioni.
No secco anche all’ingresso nella Nato, perché il Paese balcanico vuole mantenere la sua neutralità. E una prima timida apertura verso un passo doloroso e potenzialmente esplosivo, le sanzioni contro l’alleato russo, richieste con sempre maggior forza da Bruxelles e Washington. Si può riassumere così la strada che dovrebbe prendere nei prossimi mesi la Serbia, tratteggiata nella due giorni di dibattito-fiume sul Kosovo al Parlamento di Belgrado dal presidente serbo, Aleksandar Vučić, vero burattinaio della politica della nazione balcanica. Ruolo da mattatore che è stato confermato dallo stesso Vučić, che tra giovedì e ieri ha replicato alle critiche durissime della minoranza nazionalista e di quella europeista, indicando dove porterà la Serbia. Serbia che «è sulla strada verso l’integrazione europea» e ci rimarrà, ha spiegato, mentre le porte della Nato possono tranquillamente rimanere chiuse, perché Belgrado «vuole mantenere gelosamente la sua neutralità militare». Ma, sempre a suo modo, Vučić ha lanciato un sasso destinato a propagare a lungo le sue onde, nello stagno della geopolitica globale, facendo arricciare il naso a Mosca.
Interpellato dal partito d’opposizione Libertà e Giustizia (Ssp) sulla necessità di decidere finalmente sanzioni contro la Russia, Vučić non ha detto no. «Non sono eccitato» all’idea, ha spiegato, aggiungendo però di «non sapere per quanto a lungo potremo resistere senza imporre le sanzioni, paghiamo un prezzo» alto per questo. «Voi siete a favore, io dico non so, forse dovremo farlo, ma finché non siamo costretti meglio così», ha aggiunto Vučić, osservando poi, sul tema di potenziali nuovi investimenti di Mosca nel Paese, di rispettare la Russia.
Ma di non essere al suo servizio, ma solo della Serbia. Parole importanti Vučić le ha pronunciate anche in relazione al tema del Kosovo, cruciale per il futuro di Belgrado e il suo eventuale futuro avvicinamento alla Ue. «Non sono per il Kosovo all’Onu e mai riconoscerò un Kosovo indipendente», ha assicurato il presidente serbo, ribadendo tuttavia, in risposta alle critiche sulla lunghezza insostenibile dei negoziati con Pristina, di «non essere per un conflitto congelato», che ora rischia di isolare sia Belgrado sia il Kosovo. «Non parliamo di amore o ideologia, sul tavolo c’è la sopravvivenza del nostro popolo e dello Stato», ha replicato il leader serbo sul tema delle possibili sanzioni politiche ed economiche in caso di rifiuto all'ancora misterioso piano franco-tedesco sul Kosovo, misure che «provocherebbero gravi conseguenze» alla Serbia.
Piano che va accettato, hanno chiesto nel frattempo una ventina di autorevoli Ong e intellettuali, come le Donne in Nero, il Belgrade Centre for Human Rights e la Youth Initiative for Human Rights, sottolineando che si tratta di una «opportunità storica per il governo e i serbi di accettare la realtà». E pure a Pristina ci sono forse segnali di disgelo, con il premier Kurti che ha fatto una mezza-apertura alla creazione della Comunità dei comuni serbi in Kosovo, seppur ponendo egli durissime condizioni.
Riproduzione riservata © il Nord Est