Il nuovo Parlamento serbo si insedia fra caos e proteste

BELGRADO Una mezz’ora o poco più, ma di fuoco, a volte può bastare per capire che i prossimi mesi saranno caldissimi. E pochi hanno ormai dubbi, in Serbia e oltre i confini di quel Paese, che le tensioni sorte dopo le contestate elezioni anticipate del dicembre scorso difficilmente si allenteranno a breve, trasferendosi dalle piazze alla “Narodna Skupstina”, il Parlamento.
Lo hanno confermato le scene osservate durante l’insediamento del nuovo Parlamento, una cerimonia durata appunto poco meno di 45 minuti, ma segnata inevitabilmente da accese polemiche e proteste sopra le righe. Parlamento, ricordiamo, frutto del voto anticipato dello scorso 17 dicembre, che ha visto per l’ennesima volta trionfare il Partito progressista (Sns) del presidente Aleksandar Vučić, con il 46,6% e 129 seggi alla Skupstina, dove siedono 250 deputati, doppiando la maggiore alleanza di opposizione, Serbia contro la violenza (Spn), fermatasi al 23,6% (65 seggi).
La minoranza ha denunciato gravi irregolarità nel voto, in particolare a Belgrado, mobilitando migliaia di sostenitori per chiederne, senza successo, la ripetizione. In Parlamento sono entrati anche 18 deputati del Partito socialista di Ivica Dačić, tradizionali alleati di Vučić, 13 del fronte di opposizione Nada (centrodestra), 13 del neo-partito del discusso medico “no-vax” Nestorović, 12 delle liste che rappresentano le minoranze etniche.
Le polemiche post-voto si sono riverberate ieri in Aula. Tutto è iniziato dopo le 10, dopo “Boze Pravde”, l’inno nazionale e l’introduzione dei lavori affidata al deputato più anziano, Stojan Radenović. Compito arduo, quello di Radenović, dato che – com’era nelle attese – dai banchi dell’opposizione anti-Vučić è scattata immediatamente la protesta. Prima il suono dei fischietti, poi la comparsa di cartelli con i colori della bandiera serba. «Avete rubato le elezioni» e «ladri, rinunciate al mandato», si leggeva su quelli con sfondo bianco, mentre su quelli rossi e blu la minoranza ha ricordato a chi è al potere a Belgrado che «il Kosovo è Serbia, il vostro tradimento non passerà».
L’Sns – che nega ogni imputazione, assieme a Vučić e alla premier uscente Ana Brnabić - non è stato a guardare. Dai palchi del pubblico è stato infatti srotolato un grande striscione bianco, che accusava gli avversari di essere dei «ladroni» eredi dell’Opposizione Democratica di Serbia, che combatté sì Milosević ma secondo i critici impoverì il Paese nel successivo decennio, interessati solo a «depredare ancora» il Paese, «ma non ci riuscirete».
Il caos è poi continuato al momento del giuramento, con una specie di Aventino: i deputati dell’opposizione hanno infatti abbandonato l’Aula, in sfregio all’Sns, promettendo fedeltà alla Costituzione nell’atrio del Palazzo. «Non vogliamo giurare con gente che ha ottenuto il mandato rubando le elezioni, con chi ogni giorno viola le leggi», ha sostenuto la leadership dell’Spn. La truffa elettorale «sarà confermata dai rapporti delle missioni internazionali e locali e, ne sono sicuro, anche l’8 febbraio attraverso una risoluzione dell’Europarlamento», attesissima per ragioni diverse a Belgrado, ha rimarcato anche il deputato della minoranza, Borko Stefanović. C’è chi giura davanti al Parlamento, chi davanti ai media amici, ha ribattuto il presidente dell’Sns e attuale ministro della Difesa, Milos Vučević, il quale ha assicurato da parte sua che ieri sono iniziati «altri quattro anni di decisioni importanti, di battaglie per la difesa degli interessi nazionali». E sicuramente anche di durissimi scontri politici.
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