Il Kosovo avvia l’iter per l’adesione alla Ue

Firmata ufficialmente la domanda di candidatura a membro dell’Unione. Belgrado prepara la controffensiva diplomatica
Stefano Giantin

PRISTINA Un passo fondamentale e obbligato, perché rappresenta le sincere aspirazioni di una nazione intera. Oppure l’ennesima provocazione, una mera mossa propagandistica. Sono le due campane, una quella di Pristina, la seconda quella di Belgrado, che risuonano a proposito di una mossa comunque storica. È quella registrata ieri in Kosovo, dove le massime autorità politiche del Paese, il premier Albin Kurti, la presidentessa Vjosa Osmani e il presidente del Parlamento, Glauk Konjufca, hanno siglato congiuntamente la domanda, che sarà formalmente presentata entro la settimana alla Ue, di candidatura dello stato balcanico a membro dell'Unione.

Si tratta «di un primo passo verso l’adesione alla Ue, un momento storico con cui vogliamo aprire un capitolo nuovo e la velocità con cui ci muoveremo» verso la piena integrazione nel blocco Ue «dipenderà da noi», ha commentato il premier Kurti, maggior fautore dell’operazione, basata sul fatto che è «chiara la volontà dei nostri cittadini». Che vogliono l’Europa. Sulla stessa linea la presidentessa Osmani, che ha definito «il 14 dicembre una giornata storica, il nostro primo passo verso la Ue». «Non abbiamo alternative all'Unione», ha aggiunto Osmani, parlando di un «sogno» che Pristina vuole realizzare, «per chi ha combattuto per la libertà» e l’indipendenza dalla Serbia. «Facciamo appello ai Paesi membri affinché accettino la nostra candidatura all’unanimità», come prevedono le regole Ue, ha concluso da parte sua Konjufca.

Domanda di candidatura che è certamente importante, ma altrettanto complicata e potenzialmente foriera di gravi problemi. Il Kosovo, da una parte, è l’ultimo Paese balcanico – dopo che oggi alla Bosnia sarà concesso lo status di Paese candidato – a rimanere solo «potenzialmente candidato», come recita la terminologia Ue, vigente con Bruxelles solo il cosiddetto Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa), intesa che in cambio di riforme e impegni allo sviluppo può portare benefici, anche finanziari, a chi ambisce all’adesione. E solo la presentazione della candidatura è un passo avanti significativo. Ma gli ostacoli appaiono enormi. Fra essi, in particolare, il fatto che ben cinque Paesi Ue – Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro – non riconoscano per ragioni di politica interna, o storiche amicizie come quella fra Atene e Belgrado, l’indipendenza auto-dichiarata dal Kosovo nel 2008. E il Kosovo, segnale negativo per Pristina, rimane ancora l’unico Paese balcanico i cui cittadini sono sottoposti all’obbligo di ottenere un visto per viaggiare nella Ue e ancora “out” da organizzazione internazionali-chiave, come Onu o Nato.

Ma l'intralcio maggiore si chiama Belgrado, che considera il Kosovo ancora come parte integrante del suo territorio. E che avrebbe già attivato «tutte le risorse politiche e diplomatiche» per convincere un numero sufficiente di membri Ue a rigettare la richiesta di candidatura, che deve rimanere «lettera morta», hanno svelato i tabloid filogovernativi belgradesi. La controstrategia serba si basa su due principi: il Kosovo non sarebbe uno Stato a tutti gli effetti e rimane di fatto un “protettorato” Onu. La nuova sfida è però stata lanciata, anche se Belgrado parla di operazione di «marketing» di Pristina. Ma in tempi confusi come quelli attuali nessun esito è scontato. —

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