Il figlio di Mladić: «Mio padre venga curato fuori dal carcere». Si teme la fuga in Russia

Petizione dei reduci serbo-bosniaci per la libertà provvisoria al criminale di guerra: «È in condizioni critiche». Le Madri di Srebrenica e Zepa: «Non sia mai rilasciato»
Stefano Giantin

BELGRADO Uno spettro continua ad aggirarsi per i Balcani, alimentando tensioni e provocando aspre controversie, oltre che profonda rabbia e dolore in vittime e sopravvissuti. Risponde al nome di Ratko Mladić, ex generale serbo-bosniaco condannato in via definitiva all’ergastolo per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, figura scellerata che sembrava destinata a finire nell’oblio dopo l’ultima sentenza d’appello del 2021, sfavorevole a uno dei principali “architetti” della pulizia etnica in Bosnia, a Srebrenica e dell’assedio di Sarajevo. Silenzio su Mladić che è stato però rotto in questi giorni, causando nuove polemiche che spianano il terreno a una battaglia – anche giudiziaria e diplomatica – potenzialmente esplosiva, che potrebbe coinvolgere anche la Russia.

Ad aprire le danze, è stato il figlio dell’ex generale, Darko Mladić, da sempre in prima fila nel difendere il padre, che ha denunciato ai media di Belgrado che il maggior responsabile del genocidio di Srebrenica sarebbe in condizioni di salute ormai del tutto precarie, anzi critiche. È stato «ricoverato nell’ospedale del carcere di Scheveningen», nei Paesi Bassi, con «debolezza generale, una infiammazione ai polmoni e problemi cardiaci» e le sue condizioni «non sono mai state così gravi», ha sostenuto Darko, aggiungendo che il quadro clinico di Mladić sarebbe precipitato dopo una infezione da Covid, avvenuta ad agosto. Sarebbe disperato, con un «deterioramento drammatico» della sua salute e la «sua vita è in pericolo», la denuncia accorata. «Ha bisogno di cure» dedicate, ha aggiunto il figlio, suggerendo che in carcere il criminale di guerra non riceverebbe un trattamento adeguato. Ma non c’è solo Darko Mladić, in trincea per il padre. A schierarsi sono stati anche i tabloid filogovernativi di Belgrado, che hanno dato ampio spazio ai problemi di salute di colui che per molti rimane «un eroe serbo», si legge un po’ ovunque, sui graffiti incisi sui muri della capitale. Ma a scendere in campo sono stati soprattutto i reduci serbo-bosniaci della guerra in Bosnia, che hanno inviato al Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell’Aia (Mict), l’erede del Tpi, una richiesta clamorosa. I giudici concedano a Mladić e «con urgenza» la libertà provvisoria, consentendogli di «essere visitato e curato da medici esperti». Dove? «In Serbia o in Russia», si legge nel testo della petizione. Che fra le righe contiene anche una sibillina minaccia. Se Mladić dovesse morire in carcere, sarebbe il segnale che «c’è sempre minore speranza di riconciliazione e perdono».

Risuona però anche un’altra campana, mentre il Mict rimane trincerato dietro un secco no comment su condizioni di salute e possibilità che Mladić termini i suoi giorni a Belgrado o a Mosca e i social si dividono tra supporter di Mladić e chi gli augura «una morte da cane». È quella di vittime di Mladić e sopravvissuti, che promettono battaglia. Malattie o meno, Mladić deve rimanere in carcere e «ogni tentativo di arrivare a un rilascio deve essere combattuto», hanno così chiesto le Madri di Srebrenica e Zepa, suggerendo che le ultime denunce di familiari e reduci siano solo un tentativo in extremis per permettere all’ex generale di farla franca. «Se finisse in Russia o in Serbia non tornerebbe mai in carcere, tutti nel mondo lo sanno», hanno avvisato le Madri di Srebrenica. La palla, ora, passa di nuovo al Mict.

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