Migranti, hub nei Balcani: soltanto il Kosovo apre all’idea del Regno Unito

La proposta del Regno Unito incontra freddezza fra gli altri Paesi dell’area. Il Montenegro fra il serio e il faceto: «Ok se Londra investe sulle nostre ferrovie»

Stefano Giantin
Il premier kosovaro Albin Kurti al summit di Londra
Il premier kosovaro Albin Kurti al summit di Londra

La Rotta balcanica da mesi si è prosciugata, con i transiti di migranti e profughi in costante calo. Il numero degli irregolari con passaporto albanese che cercano di entrare senza permessi nel Regno Unito via Canale della Manica, un fenomeno che da anni preoccupa lo Uk, si sta pure riducendo.

Ma a Londra, anche sotto la nuova amministrazione laburista, si continua a far la voce grossa sul tema immigrazione. E si mette ancora una volta sul tavolo – tra interesse e porte chiuse – l’idea di usare i Balcani come “deposito” per migranti indesiderati.

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La redazione
Il centro migranti di Gjader in Albania (Ansa)

Tema dei cosiddetti «return hubs», centri sul modello di quello italiano in Albania, che è tornato prepotentemente d’attualità in vista del nuovo vertice del cosiddetto “Processo di Berlino”, tenutosi nei giorni scorsi nella capitale del Regno Unito, padrone di casa malgrado l’uscita di Londra dalla Ue, alla presenza dei maggiori leader balcanici, accolti dal premier Starmer e da re Carlo.

E proprio l’idea di Starmer di «return hub» come «innovazione molto importante» per affrontare l’immigrazione irregolare, da lui lanciata già a maggio, è tornata a circolare prima del vertice di Londra, con il governo inglese che ha individuato nei Balcani l’area in cui affrontare il problema. L’idea è quella di «chiudere le autostrade criminali che passano per i Balcani occidentali», creando una cooperazione stretta con i Paesi della regione, ha spiegato così Starmer.

Hub che, tuttavia, stanno dividendo la regione, tra favorevoli e contrari. Tra i primi, sicuramente il premier kosovaro in pectore, Albin Kurti, che ha assicurato che Pristina «vuole aiutare» Londra. «Siamo un Paese piccolo», con capacità limitate, ma il Kosovo mira a un «risultato di successo» nei negoziati con gli inglesi, ha anticipato Kurti, specificando che trattative sarebbero già in corso tra l’Home Office e il governo kosovaro per capire come procedere.

Di certo, dare una mano a Londra è «un dovere politico e da amici», ha aggiunto Kurti. Ma forse anche merce di scambio, perché i media inglesi hanno suggerito che Pristina avrebbe chiesto in cambio a Londra, per ricevere i suoi “indesiderati”, sostegno per rafforzare la sicurezza contro presunte minacce «da Serbia e Russia». Leggi, aiuti o «accordi strategici» o ancora «materiali», forse armamenti, ha detto lo stesso Kurti. Kurti che appare una mosca bianca, nella regione.

Aperture verso Londra, molto relative, sono arrivate solo dal Montenegro, che «non è parte delle rotte migratorie». Ma Podgorica potrebbe pensare a un hub «se la Gran Bretagna investirà dieci miliardi nel costruire ferrovie» in Montenegro, ha detto tra il serio e il faceto il premier montenegrino, Milojko Spajić.

Un secco no è arrivato invece, un po’ a sorpresa, dal premier Edi Rama, leader di quell’Albania che sul suo territorio ha accettato di ospitare i discussi centri italiani per migranti. Ma dall’Inghilterra non ne arriveranno, «mai qui in Albania», ha detto Rama. Londra cerca solo «un posto dove scaricare immigrati», una sorta di discarica nei Balcani, qualcosa che «sarebbe stato inaccettabile e ridicolo» nell’era pre-Brexit.

Porte chiuse anche in Bosnia-Erzegovina, dove il presidente di turno, Željko Komšić, ha affermato che il Paese non è disposto ad accettare stranieri espulsi dal Regno Unito. La Macedonia del Nord ha suggerito da parte sua di «non opporsi né di sostenere» i piani inglesi. Dalla Serbia, invece, solo bocche cucite. Nel frattempo, Londra non sta a guardare. E ha già spedito agenti di polizia nella regione per cooperare con Frontex in chiave anti-migranti.

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