Ex comandante Uck: dagli Usa in campo i pezzi grossi per il processo
Arrivati diplomatici e militari americani come testimoni pro Thaçi, membro dell’Esercito di Liberazione del Kosovo: altri tre alla sbarra con il “Serpente”

Gli amici si vedono nel momento del bisogno. E a volte, anche se arrivano tardi, potrebbero contribuire a mutare un quadro accusatorio pesante, a favore dell’imputato. Soprattutto perché si parla di pezzi grossissimi, con passaporto Usa.
È lo scenario che riguarda Hashim Thaçi, ex presidente del Kosovo, alla sbarra dalla bellezza di cinque anni alle cosiddette “Camere speciali del Kosovo”, leggi il Tribunale speciale che deve giudicare i presunti crimini compiuti dai membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck).
Processo Thaçi, ricordiamo, che ha preso slancio solo dal 2023 e anche negli anni più recenti i lavori sono andati avanti con lentezza, provocando recentemente aspre proteste di reduci e cittadini albanesi sia in Kosovo sia nella vicina Albania, ma pure all’Aja.
Il procedimento contro Thaçi – imputato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti quando era fra i più importanti comandanti dell’Uck, correi Krasniqi, Selimi e Kadri Veseli – ora è entrato in una fase decisiva. È quella dei testimoni a favore della difesa, che potrebbero giocare un ruolo esplosivo, a favore di Thaçi e dei co-imputati. Perché si tratta di ex o addirittura attuali pezzi grossi della potenza più vicina e amica a Pristina, gli Stati Uniti.
Altro che “Serpente”, il suo nome di battaglia durante la guerra, quando era un altissimo papavero dell’Uck. Thaçi, in realtà, era solo «un interlocutore affidabile», ma certamente «non un decision-maker» all’interno dell’Uck, lo ha così difeso nei giorni scorsi il potente ex ambasciatore Usa a Belgrado, Christopher Hill, che fu anche Inviato speciale in Kosovo tra il 1998 e il 1999.
E di certo, ha continuato la feluca, «non ho ragione di credere, né sentii al tempo, che egli avesse ordinato attività illegali» o crimini vari. Thaçi e gli altri, ricordiamo, sono chiamati a render conto di responsabilità individuale e di comando per i crimini commessi contro i prigionieri detenuti nei centri di detenzione dell’Uck in Kosovo e nella vicina Albania, tra cui 102 omicidi. I crimini sarebbero stati commessi durante e subito dopo la guerra nel 1998 e nel 1999.
Thaçi, durante la guerra, non aveva «alcuna responsabilità», né «le conoscenze, le capacità e l’autorità per prendere decisioni in alcun modo o forma», aveva in precedenza spiegato ai giudici anche un’altra ex eminente figura dell’amministrazione Usa, James Rubin, ex portavoce del Dipartimento di Stato Usa ai tempi di Albright e negoziatore speciale per la smobilitazione dell’Uck, nel 1999. Non solo. Secondo Rubin, nell’Uck Thaçi sarebbe stato la «voce della moderazione», sempre pronto a negoziare «per far cessare il conflitto».
«Non c’era alcuna struttura di comando» di cui Thaçi avrebbe potuto servirsi per «fermare la violenza» e le vendette perpetrate dall’Uck, ha fatto eco pure Michael Durkee, ex consigliere Nato durante la guerra, che ha ribadito che il “Serpente” non avrebbe avuto alcuna «autorità» in merito. Le zone operative dell’Uck «godevano di una considerevole autonomia», non c’era una vera e propria «catena di comando», ha aggiunto Durkee. Ma Thaçi ha anche altri jolly da giocare.
Nei prossimi giorni, a sua difesa testimonierà anche l’ex generale Wesley Clark, il comandante supremo della Nato durante la guerra in Kosovo. E Thaçi ha già incassato una difesa irrituale, più un attacco a gamba tesa contro il Tribunale che lo sta giudicando.
È quella, destinata a far discutere, dell’Inviato speciale di Trump per gli Affari speciali, Richard Grenell. Che ha dichiarato via X che il Tribunale dell’Aja «è profondamente corrotto e ad esso andrebbero tagliati i fondi». In precedenza, sempre Grenell aveva sostenuto che Thaçi è «in detenzione da cinque anni senza pronuncia di giudizio, un sistema brutale e arcaico non è giustizia».
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