Grecia e Bulgaria frenano sull’ingresso della Macedonia del Nord nell’Ue

Atene e Sofia contro le posizioni della nuova classe dirigente di Skopje sugli accordi di Prespa
Stefano Giantin
La visita in Italia al Quirinale: i presidenti Siljanovska-Davkova e Mattarella a colloquio il 24 maggio
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SKOPJE Prima la neo-presidentessa, che il guanto di sfida lo aveva lanciato proprio nel momento solenne del giuramento. Poi, anche il futuro premier in pectore, che in più occasioni ha confermato la rotta. Rotta che – ormai è acclarato – è di collisione, rischiando di portare un Paese balcanico importante indietro nel tempo, isolandolo nella sua corsa, purtroppo troppo lenta, verso la Ue.

È il quadro che riguarda la Macedonia del Nord, ma che coinvolge anche Grecia e Bulgaria, con potenziali effetti negativi sull’intera regione, con Skopje ormai sempre più ai ferri corti con Atene e Sofia dopo il trionfo elettorale dei conservator-nazionalisti del Vmro-Dpmne. Trionfo, ricordiamo, che ha riportato al potere, spazzando via gli europeisti precedentemente in sella, una forza politica fieramente contraria agli accordi di Prespa con la Grecia, che nel 2018 portarono la Macedonia ad aggiungere la specificazione “del Nord”, per chiudere l’estenuante diatriba con Atene sul nome, spianando, sulla carta, la strada verso la Ue all’ex repubblica jugoslava. Conservator-nazionalisti che sono anche estremamente restii ad adottare gli emendamenti costituzionali, richiesti da Sofia, per dare ampio riconoscimento e protezione alla minoranza bulgara, nuova condizione sul percorso europeo della Macedonia.

Troppe tuttavia le condizioni, per la Macedonia, che hanno fatto inalberare l’elettorato e portato il Vmro-Dpmne nuovamente al potere. E ora il redde rationem, con Sofia e soprattutto con Atene. «Ringrazio l’ambasciatore austriaco Pamer per il sostegno alla Macedonia nella sua strada verso l’integrazione europea, le relazioni tra Austria e Macedonia saranno ulteriormente rafforzate», ha così scritto sui social il leader del Vmro-Dpmne, Hristijan Mickoski. Notare, dunque, l’uso del termine “Macedonia” al posto di “Macedonia del Nord” fatto dal premier in pectore, che già in precedenza aveva anticipato che, sotto di lui, i macedoni torneranno ad avere il «diritto costituzionale di chiamare il proprio Paese» come desiderano. Non solo. Sempre Mickoski ha difeso a spada tratta la presidentessa Siljanovska-Davkova, la prima ad aprire le danze sulla questione del nome, definendo «onorevole» la sua posizione, che non sarebbe in violazione degli accordi di Prespa. È «mia prerogativa personale e sancita costituzionalmente scegliere come definire il mio Paese», ha ribadito Mickoski.

Posizioni, quelle di Skopje, che stanno provocando un terremoto sempre più potente con Atene, mentre anche Sofia ha evocato uno stop al percorso d’adesione alla Ue della Macedonia. Lo confermano le parole del premier greco Mitsotakis, che ha ricordato che «la strada» della Macedonia del Nord verso la bandiera blu a dodici stelle «passa attraverso la Grecia» e Atene non ha alcuna intenzione di sopportare le posizioni «illegali e provocatorie» della nuova classe dirigente macedone, che da parte sua ha replicato affermando che gli accordi di Prespa sono validi e non ci sarebbe alcuna «violazione nel dire Macedonia o macedone».

Ma la situazione rischia di sfuggire di mano. Lo conferma la discesa in campo di Washington, che ha fatto appello al rispetto dell’intesa raggiunta a Prespa e «degli accordi internazionali» siglati con i Paesi vicini. Ma giorno dopo giorno salgono i timori per l’apertura di un terzo fronte caldo, nei Balcani, dopo quello della Bosnia e quello tra Serbia e Kosovo.

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