Erdogan in viaggio da Sarajevo a Zagabria fra nuovi business e promesse di stabilità
La tre giorni del presidente turco nelle capitali della regione. Un’iniziativa pensata per rimarcare l’influenza del Paese nell’area
Un tour de force di tre giorni, pensato per ricandidarsi come protagonista in economia ma soprattutto nella complicata politica locale. E per far capire, velatamente, che l’Unione europea nei Balcani non soffre di concorrenza soltanto da Russia e Cina, ma anche dalla Turchia. Si potrebbe riassumere così il senso del viaggio ufficiale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan in Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia, tre nazioni diverse e strategiche, toccate dal leader di Ankara tra martedì e ieri.
In ognuna di esse Erdogan si è presentato con l’abito dello statista moderato, fornendo suggerimenti e sventolando la bandiera della «stabilità» nei Balcani, regione che per Ankara ha «una importanza speciale» anche per i legami storici con l’area, ha messo in chiaro la presidenza turca alla vigilia del tour. Legami che sono più stretti con la Bosnia, Paese dove molti bosgnacchi musulmani e i loro leader politici guardano alla Turchia come a un alleato prezioso, in particolare come garante dell’integrità territoriale. Integrità e «sovranità» che «sosterremo ancora una volta», ha promesso Erdogan a Sarajevo, suscitando apprezzamenti nel membro bosgnacco della presidenza, Sefik Dzaferović, che ha indicato proprio nella Turchia il Paese con cui la Bosnia avrebbe «la collaborazione più stretta».
Ma Erdogan, a suo modo, ha suscitato reazioni positive anche nel membro serbo della presidenza, Milorad Dodik, fra i fautori della crisi politica che sta investendo da mesi il Paese, che ha definito il leader turco «uno statista e oggi lo ha dimostrato». Lo ha fatto, Erdogan, intervenendo sul tema della controversa riforma elettorale che l’Alto rappresentante della comunità internazionale, Christian Schmidt, vorrebbe imporre a poche settimane dalle elezioni, una mossa avversata a Sarajevo. «Spetta ai leader politici adottare decisioni e non vi è alcun bisogno di un intervento dell'Alto rappresentante, che sarebbe in contrasto con i principi democratici», ha chiuso le porte Erdogan, definendo un possibile intervento di Schmidt «una minaccia al processo democratico».
Non sono parole che cadranno nel vuoto, negli uffici dell’Alto rappresentante. E sono rimbalzate ieri anche a Zagabria, ultima tappa del tour, dove parte della leadership al potere sostiene invece la riforma Schmidt, che secondo i critici favorirebbe l’Hdz in Bosnia. Nella capitale croata, Erdogan ha ribadito che «i leader bosgnacchi, croati e serbi devono prendere le decisioni in autonomia». Con freddezza gli ha replicato il presidente croato Zoran Milanović, che ha ammesso che «su questo le nostre opinioni divergono».
Neppure le parole pronunciate a Belgrado rimarranno inascoltate. Erdogan, dopo aver incontrato il suo omologo serbo Aleksandar Vučić, ha affermato infatti – sulla questione irrisolta del Kosovo – che i Balcani «non possono più tollerare questo tipo di problemi». Serve una «accelerazione» per sciogliere il nodo, ha rimarcato, offrendo a Belgrado e a Pristina tutto il «sostegno» possibile. Prima va però risolta la cosiddetta “guerra delle targhe” e «spero che sia raggiunta un’intesa quanto prima», ha detto il leader turco.
Ma Erdogan non si è limitato alle parole: ha spianato la strada anche a viaggi senza passaporti dai Balcani alla Turchia, ha promesso nuovi investimenti e l’aumento degli scambi commerciali con la Serbia, fino a 2,5 miliardi di dollari. Dando luogo tuttavia a nuove controversie, con l’accusa all’Occidente di «provocare la Russia» con le sanzioni. E di voler solo «dividere e distruggere i musulmani», anche nei Balcani.
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