Emergenza immigrazione, Morcone: «Costruire muri non risolve i problemi: nessun ostacolo ferma la disperazione»
L’analisi dell’ex capo dell’Immigrazione del Viminale: «L’Italia è in calo demografico: i nuovi arrivati sono un’opportunità»

TRIESTE L’aumento dei flussi via Balcani non sorprende, tenuto conto delle tante crisi in corso, non solo politiche ma anche ambientali. L’immigrazione tuttavia non deve ridursi solo a un problema di sicurezza. È anche una potenziale risorsa da sfruttare, soprattutto nell’Italia delle culle vuote. Lo dice Mario Morcone, già direttore del Consiglio italiano per i rifugiati e capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al Viminale, oggi assessore alla Sicurezza della Regione Campania, nei decenni passati fra le figure più importanti nella gestione istituzionale del fenomeno in Italia.
Come spiega questo “ritorno di fiamma” della rotta via Balcani?
«Deriva da una situazione di forte disperazione, per i migranti in Turchia, per quelli che provengono dall’Afghanistan, persone che cercano di raggiungere i Paesi del Sud Europa, dove forse hanno una speranza di futuro. E la “Rotta”, malgrado l’atteggiamento aggressivo della polizia croata, è più sicura dell’attraversamento ad esempio del Canale di Sicilia, qualcosa di infernale, costoso, dove la vita non vale nulla».
Lei ha menzionato l’Afghanistan, ma ci sono anche i profughi post-inondazioni in Pakistan. E crisi energetiche, alimentari. È prevedibile un ulteriore crescita dei numeri in futuro?
«Oggi la richiesta di status di rifugiato nasce non solo da persecuzioni, ma anche dalle condizioni ambientali che si sono determinate nei Paesi d’origine, come in passato nel caso del Bangladesh. Tutto dipende da equilibri sia politici sia climatici».
Flussi che aumentano malgrado i tanti muri costruiti in questi anni, da quello magiaro a quello greco sull’Evros, senza dimenticare la Bulgaria.
«Si possono costruire muri, ma nessuno ostacolo ferma la disperazione della gente. Se non ho nulla da perdere perché non ho davvero speranze nel mio Paese, allora affronto qualsiasi difficoltà e qualsiasi rischio. Non è un caso che persone dall’Africa, dalla Libia, dalla Tunisia continuino a imbarcarsi nonostante muoiano in tanti».
Lei fu amministratore di Mitrovica nord tra 1999 e 2000. Il Kosovo rimane l’unico Paese europeo con l’obbligo dei visti per viaggiare nella Ue e c’è chi teme mezzo milione di kosovari in viaggio verso l’Unione se fossero aboliti. È un rischio reale?
«È un tema delicato. In Kosovo non abbiamo risolto sostanzialmente nulla, solo fermato la guerra e il Paese non può vivere in eterno di contributi internazionali. Bisogna costruire una strada per i giovani, per il futuro. E l’Europa non può non tenere conto di un problema a noi molto vicino. Come dicevo prima, nessun ostacolo ferma chi è disperato».
Tornando all’attualità, c’è stata una corsa alla solidarietà in Europa verso i profughi ucraini, a differenza di chi arriva dall’Africa e da Oriente. Esistono doppi standard?
«È assolutamente così, una cosa insopportabile. Ho grande solidarietà e attenzione verso i profughi ucraini, tra loro ci sono molte donne, anziani, bambini. Ma ciò non può consentire di discriminare altre persone solo per il colore della pelle, ciò che hanno fatto rigorosamente Polonia e Ungheria. Anche su questo l’Europa deve farsi sentire con decisione».
Questione migratoria che non è fatta solo di numeri, muri, regole, accoglienza e solidarietà, è una faccenda politica e sociale ben più ampia, su cui si gioca anche il futuro dell’Europa. Lei, se potesse, come la affronterebbe negli anni a venire?
«Parto dal presupposto, a parte buoni sentimenti e solidarietà, che la popolazione italiana è in forte decrescita e, pur immaginando politiche della famiglia sul modello francese, i risultati non arriveranno se non tra 20 anni. Io immagino invece che sia necessario utilizzare la leva dell’immigrazione, trasformandola da problema in opportunità. Ciò significa accogliere le persone, chiedendo loro di rispettare le nostre regole, fare formazione e lavorare per contribuire alla crescita di questo Paese. Questo vale in primo luogo per i tanti minori non accompagnati, ma anche per le altre persone che arrivano da noi».
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