Elezioni in Croazia, Plenković resiste all’assalto di Milanović

L’Hdz del premier si avvia a restare primo partito. Non riesce il ribaltone al presidente. Ma visti i numeri sarà sfida in parlamento 

Giovanni Vale
Il premier croato Andrej Plenković risponde ai giornalisti nella giornata del voto
Il premier croato Andrej Plenković risponde ai giornalisti nella giornata del voto

ZAGABRIA Non è riuscita, almeno nelle urne, la spallata del capo di Stato croato Zoran Milanović al primo ministro Andrej Plenković.

Alle elezioni legislative di ieri, il premier uscente Plenković - si avvia ad arrivare in testa per la terza volta di fila dal 2016, ottenendo con la sua Unione democratica croata (Hdz, centrodestra) 64 seggi su 151 al parlamento di Zagabria.

In seconda posizione, con 42 deputati, si è piazzata la coalizione “Fiumi di giustizia”, guidata dal Partito socialdemocratico (Sdp) e facente capo al presidente Milanović.

Seguono il Movimento patriottico (Dp) di estrema destra con 13 deputati, il partito cattolico e conservatore Most (9), il fronte ecologista Možemo (8), la Dieta democratica istriana (3) e altre formazioni minori che hanno ottenuto uno o due seggi al Sabor, il parlamento croato.

Questi sono i risultati provvisori al 58,78% delle schede scrutinate e in linea con gli exit poll pubblicati sempre ieri sera alla chiusura delle urne.

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La Croazia andava ieri alle urne in un clima di scontro acceso tra le due massime cariche dello Stato. Poco meno di un mese fa, il presidente della Repubblica Milanović ha annunciato a sorpresa la sua intenzione di impegnarsi in prima persona nella campagna elettorale senza però dare le dimissioni dalla sua carica.

Formalmente non si è candidato, ma di fatto parlava di sé come del futuro primo ministro. Secondo Milanović, la corruzione e il nepotismo in Croazia sono arrivati ad un punto tale da richiedere un suo intervento urgente anche se costituzionalmente poco ortodosso.

Al contrario, il primo ministro Plenković ha messo in guardia gli elettori che un’elezione di Milanović a premier potrebbe portare la Croazia «fuori dalla Nato e dall’Ue e nelle mani della Russia». Negli ultimi mesi, in effetti, il capo di Stato si è fatto notare per le sue dichiarazioni polemiche e populiste e per le sue posizioni filo-russe riguardo alla guerra in Ucraina.

Ieri, dopo una campagna elettorale breve ma molto intensa, si è svolta una giornata di voto come non se ne vedevano da anni in Croazia, con un’affluenza record che ha superato il 59% (contro il 46% del 2020) e con lunghe code ai seggi in molte città. Ma la grande affluenza non ha stravolto gli equilibri politici. La carta della Croazia è infatti ancora una volta completamente azzurra con soltanto qualche isola di colore rosso in Istria e nel nord del paese. Lo scontro non è però completamente finito. Né l’Hdz né l’Sdp non hanno infatti i numeri sufficienti per governare da soli ed è già partita la caccia ai possibili alleati.

L’Hdz può contare, come nel governo attuale, sugli 8 deputati rappresentanti le minoranze nazionali, ma dovrà comunque cercare altri sostegni per arrivare alla fatidica soglia di 76 seggi su 151. L’alleato più papabile, in questo senso, è il Movimento patriottico, nato qualche anno fa da una costola dell’Hdz perché in rotta con la corrente moderata imposta dal leader di partito, Andrej Plenković.

A sinistra, il presidente Zoran Milanović ha invitato tutti i partiti, durante la campagna elettorale, a formare un governo di unità nazionale contro l’Hdz. La battaglia si sposterà insomma dai seggi elettorali a quelli del Sabor.

Ieri sera, intanto, al quartier generale dell’Hdz si è cantato vittoria, mentre qualche nota stonata è arrivata dalle fila dei socialdemocratici. «La gente di notte piange i figli che sono partiti all’estero, ma di giorno vota l’Hdz», ha commentato deluso l’ex ministro socialdemocratico Fred Matić. I rappresentanti di Most e di Možemo hanno ripetuto che una coalizione con l’Hdz è impensabile, mentre il sindaco di Vukovar Ivan Penava, candidato nella coalizione del Movimento patriottico di estrema destra, ha detto «parleremo con tutti. Questa sera ci stanno telefonando da tutte le parti».

Infine, all’interno della minoranza italiana, lo scontro tra l’intramontabile Furio Radin, in parlamento dal 1991, e il vicesindaco di Buie Corrado Dussich si è dimostrato più aperto del previsto. Con il 61% delle schede scrutinate, Radin era in vantaggio di una trentina di voti.

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