Droni da Ankara al Kosovo: tensione tra Serbia e Turchia

La consegna dei velivoli militari dotati di esplosivi annunciata dal premier Kurti. Da Belgrado l’ira di Vučić: «In ballo c’è la stabilità nell’area. Parlerò con Erdogan»

Stefano Giantin
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Epa)
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Epa)

Si vis pacem para bellum, recita il noto adagio. Ma se si preme troppo sull’acceleratore del riarmo si possono creare nuovi attriti su fronti già caldi. E si può rovinare una luna di miele, già di per sé insolita, tra due capitali che si erano molto avvicinate negli ultimi anni. Sono i contorni della vera e propria “guerra dei droni” che sta rinfiammando i sempre tesi rapporti tra Serbia e Kosovo e che potrebbe aver messo in crisi in modo definitivo anche quelli tra Belgrado e Ankara.

La miccia? L’annuncio pubblico, corredato da foto, fatto dal premier tecnico kosovaro Albin Kurti che, nel mezzo della più lunga e complicata crisi istituzionale mai osservata a Pristina, ha svelato la consegna al Kosovo di «migliaia di droni kamikaze Skydagger», che membri della Ksf, il futuro esercito, teoricamente sanno già utilizzare grazie a un addestramento specifico.

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La redazione
Il discorso del presidente serbo Aleksandar Vučić sulle sanzioni al colosso dell’energia Nis. FOTO ANDREJ CUKIC

Droni, ha spiegato Kurti, che sono prodotti dalla «famosa azienda turca Baykar» e che sarebbero dovuti arrivare a Pristina nel gennaio del 2026, ma lo hanno fatto «con tre mesi d’anticipo», ha detto compiaciuto Kurti.

Droni “made in Turchia” che sono delle letali macchine da guerra, velivoli telecomandati del tipo “Ready To Fly”, dotati di esplosivi capaci di colpire forze nemiche in movimento e obiettivi statici. E che vanno ad arricchire il già importante arsenale del Kosovo, Paese sulla carta ancora non dotato di forze armate regolari – ma Pristina le vuole quanto prima, malgrado la strenua opposizione della Serbia, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo. Arsenale, ricordiamo, che include anche un altro “gioiello” dell’industria militare turca, i droni TB2 Bayraktar, ma anche i “Puma”, di produzione americana.

Droni che hanno fatto esultare Kurti. E allo stesso tempo andare su tutte le furie il presidente Aleksandar Vučić, a Belgrado. Quelle migliaia di velivoli turchi sono la prova che «la Turchia non vuole la stabilità nei Balcani occidentali, ma sogna di ricreare l’Impero ottomano», il durissimo attacco del leader serbo, che ha sottolineato che «la Serbia è un Paese piccolo, ma capisce le reali intenzioni» di Erdogan.

Erdogan che, ricordiamo, era diventato negli anni passati uno degli alleati più stretti di Vučić, con quest’ultimo che aveva evocato una «epoca d’oro» nelle relazioni bilaterali, solo lo scorso anno, durante l’ultimo tour del leader turco nella regione, focalizzato proprio sul comparto difesa e le vendite di armamenti turchi nei Balcani.

Ma a dividere Vučić ed Erdogan è sempre stato il “vulnus” Kosovo, con Ankara prima a riconoscerne l’indipendenza e con cui Erdogan sta stringendo relazioni sempre più strette. Anche a forza di droni. Ferita che ora si è aperta ed è profonda.

Petar Petković, numero uno dell’Ufficio serbo per il Kosovo, ha così suggerito che l’arrivo dei droni a pochi giorni dalle elezioni amministrative sarebbe un metodo per «terrorizzare i serbi» rimasti in Kosovo.

«Sono orripilato dal comportamento della Turchia e dalla brutale violazione della risoluzione 1244 dell’Onu, oltre che dal continuo riarmo voluto dalle autorità a Pristina», ha rincarato dal canto suo Vučić, anticipando però che contatterà personalmente Erdogan, un «grande leader», per discutere della faccenda – una mezza marcia indietro. Ma forse il danno, da entrambe le parti, è già stato fatto.

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