Serbia, Ungheria e Russia con Dodik: «Sentenza contro la democrazia»
Vučić, Orbán e Mosca si schierano con il leader serbo bosniaco dopo la conferma della condanna in appello

Una condanna confermata in secondo grado, ma rifiutata dal diretto interessato, che con il suo partito, l’Snsd, sta lavorando a contromisure. E tre Paesi amici – Russia, Serbia e Ungheria – che si schierano al suo fianco con nettezza, di fatto disconoscendo le prerogative del sistema giudiziario di una nazione straniera. Sono gli ingredienti di quella che potrebbe trasformarsi in una tempesta perfetta per la Bosnia-Erzegovina.
Nel Paese balcanico si sta aggravando la crisi legata all’affaire Milorad Dodik, presidente della Repubblica dei serbi di Bosnia, che la settimana scorsa ha visto confermare dal Tribunale di Sarajevo la condanna in primo grado per “disubbidienza” contro l’autorità e le decisioni dell’Alto rappresentante Christian Schmidt, “arbitro” sul rispetto degli accordi di pace di Dayton. Per il leader nazionalista filorusso si tratta di una mazzata, perché la pena prevede un anno in carcere e sei di interdizione dai pubblici uffici. Punizione che, sulla carta, potrebbe rappresentare un colpo durissimo alla presa sul potere di Dodik.

Dopo la nuova sentenza, Dodik aveva anticipato che non avrebbe riconosciuto la pronuncia del Tribunale, aggiungendo di aspettarsi il sostegno degli alleati più stretti. E l’appoggio è arrivato, rendendo il quadro ancora più complicato.
A scendere in campo è stata per prima la Serbia di Aleksandar Vučić che, dopo un consiglio di sicurezza nazionale, ha annunciato che Belgrado non riconosce e non riconoscerà mai la sentenza di condanna contro il leader serbo-bosniaco. Sentenza «non democratica», bensì «immorale», perché «emessa contro la libertà di espressione». Vučić che ha anticipato che Dodik rimane «il benvenuto» in Serbia. E se le autorità centrali bosniache dovessero emettere un nuovo mandato d’arresto nei suoi confronti, quelle serbe lo ignoreranno.
A dar man forte a Dodik ci si è messa anche Mosca. In Bosnia non c’è alcun Alto rappresentante e Schmidt è «un usurpatore», la durissima nota dell’ambasciata russa a Sarajevo. Il sottinteso: Dodik non ha disubbidito, perché il diplomatico tedesco occupa una carica inesistente e dunque ogni sentenza su questo fronte è «politica». E potrebbe rappresentare l’unica causa di una nuova «destabilizzazione» della situazione interna.
Dodik non è stato lasciato solo neppure da un altro stretto alleato e amico. Parliamo di un Paese Ue, l’Ungheria del premier populista Viktor Orbán, che ha subito difeso Dodik: «Rimane il leader eletto dai serbi che vivono in Bosnia» e Budapest si «comporterà di conseguenza». Budapest, ha fatto eco il ministro degli Esteri magiaro, Peter Szijjártó, considera la condanna di Dodik come il culmine di una «caccia alle streghe» contro un presidente «democraticamente eletto». Dodik «è un amico dell’Ungheria e l’Ungheria gli rimarrà a fianco», ha aggiunto il ministro, con una posizione speculare a quella espressa anche dal suo omologo serbo, Marko Djurić.
La Bosnia è uno Stato «indipendente, democratico, dove tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge», ha ricordato invece il membro bosgnacco della presidenza tripartita, Denis Bećirović, che ha stigmatizzato le interferenze esterne e ricordato che tutte le sentenze vanno rispettate, ma anche il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso timori sulla situazione, in una conversazione con Vučić. —
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