«In campo non si parla sloveno»: allenatore ammonito in Carinzia
Nuova crisi Lubiana-Vienna: l’allenatore del Sak Klagenfurt è stato ammonito per aver usato la lingua minoritaria al posto del tedesco. La società calcistica ricorda che la regione è bilingue: «Richiesta insultante e umiliante»

Dopo il caso “Peršmanhof” – il raid della polizia austriaca contro un campo di giovani antifascisti sloveni in Carinzia – ecco un nuovo incidente, questa volta su un campo di calcio. Non sono tempi facili sull’asse Austria-Slovenia, nuovamente scosso da un episodio controverso.
È quello osservato durante una partita di calcio della quarta serie nazionale austriaca, la Kärntner Liga, giocata tra il Sak Klagenfurt/Celovec, fondato nel 1970 da membri della locale minoranza slovena e la squadra Atus Ferlach. Partita, non certo di cartello, che sarà però ricordata per un incidente avvenuto durante l’incontro, quando l’allenatore dei portieri del Sak, Janko Smrečnik, sloveno della Carinzia, ha avuto la malaugurata idea di parlare nella propria lingua madre con un avversario, anche lui sloveno, accusato dal trainer di aver simulato un fallo. Che i due discutessero in sloveno, in una partita in Austria, non è però piaciuto a uno dei guardialinee, in trasferta dalla Germania, che ha intimato al trainer del Sak di «parlare tedesco».
«Janko, ovviamente, ha continuato a parlare in sloveno con il giocatore avversario, fino a quando il guardalinee non ha chiamato l’arbitro per farlo intervenire ed è partito un cartellino giallo» contro il mister, ha denunciato il presidente del Sak, Marko Wieser.
Caduta di stile o ignoranza del fatto che «la Carinzia è bilingue», ha ricordato Wieser, che ha sollevato un polverone, con il Sak che ha minacciato di non rientrare in campo per il secondo tempo come forma di protesta contro una richiesta «insultante e umiliante», ha denunciato la squadra. L’allenatore del Sak, Richard Huber, ha da parte sua difeso il suo staff e i giocatori, affermando che, in linea con le normative della Federcalcio austriaca, possono liberamente scegliere la lingua con cui comunicare sul campo da gioco. E fuori.
Nel frattempo, com’era prevedibile, il caso sta diventando anche diplomatico. «Non vogliamo che campi sportivi diventino campi di battaglia per la supremazia linguistica, ma devono rimanere spazi per la competizione, per la passione e le uguali opportunità», il duro ammonimento lanciato dalla ministra degli Esteri slovena, Tanja Fajon.
Incidente, quello allo stadio, che non contribuirà certamente a placare gli animi, già accesi per l’affare Peršmanhof. Intellettuali austriaci e sloveni dell’autorevole Pen Centre hanno stigmatizzato l’operazione di polizia al Museo Peršman, chiedendo una «inchiesta approfondita» su un caso «oltraggioso». Sulla stessa linea, anche l’ex ambasciatore sloveno a Vienna Aleksander Geržina e centinaia di manifestanti, scesi in piazza a Klagenfurt con slogan «siamo tutti Peršman».
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