Doccia fredda sul Kosovo, chiuse le porte del Consiglio d’Europa

Escluso dall’agenda il voto sull’ingresso di Pristina. Decisivo lo stop di Italia, Francia e Germania
Stefano Giantin

BELGRADO. È stato un tentativo in extremis di salvare il salvabile, smuovendo le acque in maniera forse un po’ maldestra e sicuramente tardiva, tentando di compiacere in zona Cesarini le richieste delle maggiori potenze europee. Ma l’obiettivo è fallito: il Kosovo, per ora, non entrerà nel Consiglio d’Europa (CoE), mèta strategica e fino a qualche settimana fa a portata di mano di Pristina, prospettiva vista come il fumo negli occhi da Belgrado.

Questione calda

È questo il quadro che si è composto riguardo a una delle questioni più calde nei Balcani, l’ingresso di Pristina nel CoE, la più antica e autorevole organizzazione internazionale per la protezione della democrazia e dei diritti umani. Ammissione che sembrava a portata di mano dopo il massiccio voto a favore dell’adesione da parte dell’Assemblea parlamentare CoE. Tutto si era però poi incagliato aspettando l’ultima luce verde, quella del Comitato dei ministri degli Esteri dell’organizzazione, attesa nel fine settimana.

L’inadempienza di Pristina 

Il Comitato però non ha messo in agenda il voto sul Kosovo, causa l’inadempienza da parte di Pristina sul processo di formazione della cosiddetta Associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo (Asm). E non l’ha messa malgrado una mossa a sorpresa di Pristina. Il 15 maggio, è emerso, la vicepremier e ministra degli Esteri kosovara Donika Gervalla-Schwarz ha inviato una lettera al «caro Rousopoulos», il presidente dell’Assemblea parlamentare del CoE, annunciando che il Kosovo avrebbe fin da metà aprile lavorato a una «bozza di statuto» per la creazione dell’Associazione, che sarà un «meccanismo di autogestione, coordinamento e cooperazione» per i serbi. Bozza, ha poi svelato Gervalla-Schwarz, che è stata «ispirata dalla Friedrich-Ebert Foundation», think tank tedesco vicino all’Spd e sarà «sottoposta alla Corte costituzionale per la sua valutazione entro fine maggio 2024».

Le tensioni

Questo passo sarebbe sufficiente, secondo Pristina, «per invitare il Kosovo a diventare il 47.o stato membro del Consiglio d’Europa», è stata la richiesta della ministra. Richiesta che, dopo essere stata resa pubblica, ha provocato l’ira di Belgrado. È solo un «trucco» per ingannare la comunità internazionale, ha reagito il presidente serbo Aleksandar Vučić, suggerendo che dietro ci sarebbero lobbisti di punta e la Gran Bretagna, scesi a fianco di Pristina.

La doccia fredda

Ma la vera doccia fredda è arrivata da una lettera firmata dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz, dal presidente francese Emmanuel Macron e dalla premier italiana Giorgia Meloni, sempre datata 15 maggio – forse anche antecedente a quella di Gervalla - e resa pubblica da Richard Grenell, un tempo braccio destro di Trump nei Balcani. Italia, Francia e Germania hanno stabilito che «i passi proposti» da Pristina non soddisfano «l’urgenza di mosse decisive» per la creazione dell’Associazione dei comuni serbi. Non solo. I tre Stati Ue hanno ricordato a Pristina che già esiste una bozza di statuto, elaborata dall’Inviato Ue Miroslav Lajcak e che altre vie non sembrano a oggi percorribili. Senza veri passi concreti così «c’è il rischio che il Kosovo non abbia sufficiente sostegno» per l’adesione al Coe. E l’altra sera la conferma: il Kosovo neppure menzionato nelle conclusioni della riunione del Comitato dei ministri. La discussione rischia ora di essere rinviata al 2025. Colpa di una «campagna della Serbia contro il Kosovo», ha poi attaccato Gervalla-Schwarz, suggerendo che l’Associazione dei comuni serbi, d’ora in poi, potrebbe rimanere una chimera.

Riproduzione riservata © il Nord Est