Dall’Ucraina al Kosovo per addestrarsi a disinnescare gli ordigni inesplosi

A Peja dal 2010 un centro di formazione per civili e militari: ha ospitato sinora 1.500 persone arrivate da decine di Paesi

Giovanni Vale

A Peja, nel Kosovo occidentale, è una mattinata di sole. In lontananza le Alpi albanesi si stagliano maestose. Mentre ai nostri piedi, sulla ghiaia del cortile, sono disposte dieci bombe, ognuna identificata con un numero. Siamo nel centro di addestramento per sminatori denominato Mat Kosovo, realtà nata nel 2010 e attraverso la quale sono passati negli anni più di 1.500 “allievi” – militari e civili, con o senza esperienza precedente – venuti a imparare come si riconoscono, si maneggiano e si disinnescano gli ordigni inesplosi. Le bombe distribuite a terra sono perlopiù bomblets, sub-munizioni contenute nelle bombe a grappolo. Esplodono all’impatto col terreno o funzionano come mine, attivandosi al passaggio di un mezzo o una persona. Sono quelle che più spesso infestano i teatri di battaglia alla fine dei conflitti.

«Prendiamo la numero 10», dice Hasan Sleiman, uno degli istruttori, originario del Libano: «È quella che definiremmo una bomba intelligente. È pensata per i carri armati, ma non funziona a impatto. Si attiva elettronicamente, usando frequenze magnetiche o radio. Perciò quando ci avviciniamo a ordigni simili è bene arrivare senza elementi metallici su di sé», spiega Sleiman, che lavora in Kosovo da sei anni, dopo averne trascorsi altrettanti in Libia. Attorno a lui una quindicina di persone annuisce e prende appunti, prima di spostarsi alla bomba successiva.

l’arrivo degli ucraini

Fondato da un ex militare britannico, il centro di Peja nasce dall’esperienza del Kosovo nello sminamento del proprio territorio dopo il conflitto con la Serbia nel 1998-1999 (il termine “sminamento” è usato in senso più ampio e non indica solo le mine vere e proprie, ma tutte le bombe inesplose). «Nei primi anni Duemila c’erano più di venti imprese attive nel settore», ricorda Arben Qorraj, responsabile finanziario di Mat Kosovo. Da anni il Kosovo è dichiarato libero da ordigni inesplosi, anche se le ultime aree remote saranno bonificate solo nel 2025.

Intanto il centro continua ad addestrare persone provenienti da ogni dove. Per ricevere le certificazioni di Mat Kosovo, valide a livello internazionale, gli iscritti vengono infatti da più di 70 Paesi. E nell’ultimo anno più di 100 persone sono arrivate dalla sola Ucraina: il primo gruppo è atterrato ad aprile 2022, poco dopo l’inizio delle ostilità. Aleksandar (un nome di fantasia) è uno di questi. A 27 anni questo informatico di Charkiv, nell’Ucraina orientale, si è arruolato nell’esercito nazionale subito dopo l’invasione russa e da più di un mese segue il corso di formazione a Peja. «Gli sminatori non servono solo a guerra finita, ma anche durante il conflitto. Ora, ad esempio, so quando è sicuro muovere un ordigno e come farlo», spiega il giovane, che è stato inviato qui dal suo battaglione assieme a un altro commilitone. «Quando rientrerò potrò formare i miei compagni», aggiunge. Arrivato per la prima volta in Kosovo, Paese per cui non ha bisogno di un visto d’ingresso, Aleksandar dice di sentirsi qui «come a casa». «Sono tutti molto gentili con noi e c’è una bella atmosfera», assicura prima di ripartire col gruppo. Gli esperti di Mat Kosovo fanno notare come l’interesse delle autorità ucraine (militari e civili) per i corsi di sminamento non sia un caso. Hekuran Dula, uno dei formatori con più esperienza, attivo fin dagli anni ’90 in vari teatri di guerra (Mozambico, Cambogia, Zambia...), dice che «la Russia è uno dei maggiori produttori di ordigni inesplosi al mondo e con l’invasione dell’Ucraina ha di fatto svuotato i magazzini». «Si stima che i russi abbiano usato finora centinaia se non migliaia di tipi diversi di bombe», precisa Dula.

L’utilizzo delle mine

Se gli ordigni che si incontrano più di frequente sono quelli inclusi nelle bombe a grappolo, «le mine sono ancora molto utilizzate», prosegue Dula. «Sono facili da dispiegare e permettono di proteggere il territorio: anche se hai tanti soldati, non puoi fisicamente controllare tutto il fronte», spiega l’istruttore. «Purtroppo nel 90% dei casi, le mine finiscono per colpire i civili e per questo sono state vietate», prosegue, riferendosi al trattato del 1997 contro le mine antiuomo, ratificato a oggi da oltre 130 Paesi (tra i grandi mancano all’appello Stati Uniti, Russia, Cina e India). «È però attestato che anche i Paesi che hanno firmato il trattato continuano a usarle. Così, è come se alla fine di una guerra noi iniziassimo un’altra battaglia, quella per bonificare i territori», conclude Dula.

Ad oggi, chiosa Arben Qorraj di Mat Kosovo, «ci sono più di 50 Paesi che hanno territori da bonificare. Si trovano perlopiù in Asia e in Africa, ma l’Europa non manca, in particolare con l’avvio di nuove guerre, come n Ucraina». A ogni nuovo conflitto la probabilità che ci siano ordigni inesplosi nel mondo aumenta e così anche la necessità di avere sminatori in grado di riportare i terreni al loro stato originario. È un cerchio che purtroppo non sembra essere destinato a spezzarsi.

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