Dall’assedio di Sarajevo alla casa di Ivo Andrić «Ma qui in Bosnia non cambia mai nulla»
Enes Škrgo è il curatore degli spazi in cui nacque il grande scrittore nella città di Travnik: a visitarli sono circa diecimila persone all’anno

TRIESTE Enes Škrgo si muove con discrezione tra le sale della casa natale di Ivo Andrić, a Travnik, nell’area centrale della Bosnia Erzegovina. Il passo cadenzato dei suoi stivaletti in cuoio, l’ondeggiare leggero della lunga coda di cavallo, così come il sorriso gentile ed enigmatico ne fanno un personaggio impossibile da non notare. Nato anch’egli a Travnik nel 1968, il curatore della casa-museo del più noto scrittore jugoslavo, Nobel per la letteratura nel 1961, ha alle sue spalle una storia degna di un romanzo. Enes Škrgo ha attraversato gli ultimi anni della Jugoslavia, la guerra e il ritorno a una Bosnia-Erzegovina rappacificata ma divisa continuando a battersi a favore della cultura.
«Ho cominciato a fare teatro quando avevo 12 anni», ricorda Škrgo, «il teatro amatoriale di Travnik era uno dei migliori della Jugoslavia, il luogo in cui Emir Kusturica ebbe il suo primo ingaggio professionale: l’adattamento televisivo di una pièce di teatro, Bife Titanik». Finito il liceo, Škrgo si iscrive a Filosofia e Sociologia a Sarajevo ed è all’ultimo semestre quando inizia l’assedio della città, nell’aprile del 1992. «Era un fine settimana ed ero tornato a Travnik dai miei, rimasi bloccato qui», prosegue il curatore. Finirà per essere arruolato nell’esercito bosniaco e combattere sulle montagne che circondano Travnik.
«Mentalmente non ero mai presente», afferma l’artista, che riuscì a ricreare uno spazio culturale tra i ranghi dell’esercito. «Fondammo le Art Forces: un’orchestra e un gruppo drammatico. Portavamo nelle caserme e sul fronte delle commedie critiche sulla guerra», racconta Škrgo lasciandosi scappare un sorriso. Sono tre lunghi anni di scontri con i serbi e, a partire dal 1993, anche con i croati. Ma nel 1995, Enes è dispensato dall’esercito e può andare a Sarajevo a dare gli ultimi esami. Per entrare nella città ancora sotto assedio, deve attraversare il “tunnel della speranza”, ma riesce a laurearsi.
Alla casa di Andrić, inaugurata nel 1974, Škrgo arriva nei primi anni Duemila, dopo diverse esperienze culturali nel difficile contesto dell’immediato dopoguerra. «Vent’anni fa Andrić era una persona non grata qui. I bosgnacchi lo accusavano di aver dipinto negativamente i musulmani nei suoi romanzi. Per i croati era un traditore, un croato che era diventato serbo», spiega il curatore. Il grande scrittore jugoslavo (1892-1975), battezzato secondo il rito cattolico, si era infatti detto “serbo” da adulto e ancora oggi, la fondazione belgradese che gestisce i diritti d’autore non autorizza la stampa dei libri in cui si definisce Andrić uno “scrittore bosniaco” o “jugoslavo”. Deve essere solo “serbo”.
«Andrić è di chi lo legge», taglia corto Škrgo, «un autore mondiale, vittima da trent’anni del nazionalismo». Cosa pensa di Andrićgrad, l’etno-villaggio creato da Kusturica vicino a Višegrad (la città de “Il ponte sulla Drina”)? «Tutto l’opposto della filosofia di Andrić, una sorta di Disneyland», risponde Škrgo, che alla vigilia delle elezioni bosniache del 2 ottobre non vede ragioni per essere ottimista. «Qui non cambierà mai nulla – lamenta – tutti abbiamo le valigie sempre pronte per partire». «Pur con i suoi mille difetti, la Jugoslavia è stata il miglior periodo per la Bosnia-Erzegovina. La prima università di Sarajevo ha aperto nel 1950», continua Enes Škrgo.
Lo spazio che gestisce da 19 anni è diventato col tempo un luogo dinamico e colorato, con un caffè-ristorante al piano terra e una media di circa 10 mila visitatori l’anno, di varie etnie e provenienze. «Un giorno è arrivato un signore anziano, vestito alla moda bosgnacca, musulmana, e mi ha detto: sono venuto a vedere dov’è nato il nostro Ivo», sorride Škrgo.
Riproduzione riservata © il Nord Est