Da Terstenico a San Nicola: i cinquanta fari dell’Adriatico che guidano navi e diportisti

Sono complessivamente 50 lungo l’intera costa e restano importantissimi anche a fronte delle nuove tecnologie che i natanti hanno a bordo. Una storia di solitudine e di vigilanza

Andrea Marsanich

TRIESTE. Sono le sentinelle delle acque istriane, dalmate e quarnerine dell’Adriatico, punto di riferimento importantissimo per chi naviga, a prescindere se per diletto o per lavoro, e nonostante tutte le tecnologie a disposizione.

I cinquanta fari dell’Adriatico orientale sono da tempo uno dei simboli di questo amato mare e solo sedici di essi hanno ancora il guardiano, mentre tutti gli altri sono automatizzati e guidati a distanza. Questi popolarissimi impianti sono gestiti da decenni dalla società commerciale Plovput, con sede a Spalato e di proprietà al 100 per cento dello Stato croato. La Plovput ha avviato negli ultimi anni una robusta campagna di restauro e ristrutturazione dei fari, che ha riguardato gli impianti di Salvore, Unie, Dassa (arcipelago raguseo delle Elafiti), Terstenico, nei pressi dell’isola di Cherso e il faro Tajer che si trova sull’isoletta di Sorella Grande, nell’arcipelago delle Incoronate.

L’Adriatico, che comprende ben 1.244 tra isole, isolotti e scogli, ha avuto sin dai tempi antichi estremo bisogno dei fari. Quelli costruiti molti secoli fa sono ormai scomparsi, sepolti dal tempo, dagli uomini e dal mare, ma ve n’è uno – non più in funzione – che ha conservato il plurisecolare aspetto. È il faro di San Nicola, piccola manciata di terra di fronte a Parenzo, in Istria. Approntato nel XV secolo dalla Serenissima, l’impianto veniva tenuto in funzione dai religiosi del monastero dei Benedettini, presente nell’isoletta. I benedettini accendevano il fuoco sulla sommità del faro, alto 15 metri e lo alimentavano in continuazione per dare modo ai naviganti di capire che lì c’era il rischio che la loro imbarcazione finisse per incagliarsi.

Costruito in pietra bianca, era dunque ben visibile anche in pieno giorno. Come già detto, questo antico faro si trova da tempo in “pensione”, ma non per questo è finito nel dimenticatoio, anzi. Costituisce infatti un’attrazione turistica a San Nicola, isola da tempo abbandonata dai monaci benedettini e oggi trasformata in un enorme resort.

La storia moderna dei fari adriatici, chiamiamola così, ha avuto inizio grazie all’Impero austroungarico, che diede vita nel XIX secolo a un grande, capillare piano di miglioramento di portualità e condizioni di navigazione in questo mare. In decenni si approntarono nuovi porti, rive, fari, dighe frangiflutti e altri impianti. Una campagna che i vari paesi come Italia, Jugoslavia e Croazia, succedutisi in queste aree, non avevano né hanno sfiorato, anche se bisogna dare atto a Zagabria di avere avviato tantissime iniziative a favore delle isole, dei loro abitanti, come pure a sostegno delle località costiere della terraferma. Vienna e Budapest costruirono assieme ben 57 fari, di cui oggi non pochi sono ancora funzionanti. Quello più vecchio è l’impianto di Salvore, in Istria, costruito nel 1816 e diventato operativo due anni più tardi. Alla cerimonia di inaugurazione, va sottolineato, assistette l’imperatore in persone, Francesco I.

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