Mancano lavoratori nei Balcani, l’Iom: «Serve attrarli dall’estero»

L’analisi dell’organizzazione per le migrazioni su occupazione e inverno demografico: la Bosnia ha perso dal 2013 oltre 620 mila abitanti, la Serbia 660 mila dal 2011

Stefano Giantin
Una panoramica di Sarajevo, la capitale della Bosnia-Erzegovina
Una panoramica di Sarajevo, la capitale della Bosnia-Erzegovina

La panettiera di un villaggio della Vojvodina passa una pagnotta al cliente e si lamenta. Dice di aver sentito che «sono arrivati degli africani, dal Kenya, a Kuzmin» – villaggio poco distante dal suo negozio, disperso nel nulla della pianura pannonica, – per lavorare nei campi. E poi sentenzia che, se le cose vanno avanti così, «non ci saranno più lavori per noi serbi».

Più a sud, in quella che fu la “Mirafiori” balcanica, patria prima della Zastava, poi di Fiat e oggi di Stellantis, arrivano un centinaio di operai dal Marocco, ufficialmente per essere formati e per dare una mano alla produzione.

«Importano operai per un terzo turno», perché le paghe troppo basse per gli standard serbi non attirerebbero tute blu del posto e così «i giovani se ne vanno» all’estero, ha accusato l’ex leader sindacale Jugoslav Ristić.

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A Est, nella vicina Romania, un’associazione imprenditoriale, la Pifm, è costretta invece a difendere pubblicamente i «lavoratori asiatici», tantissimi da Nepal, Sri Lanka, India, «che lavorano onestamente e pagano le tasse», ma sono guardati spesso con sospetto dai colleghi locali.

Sono istantanee dai Balcani del 2025, un tempo Eldorado per le imprese straniere per la manodopera preparata e a basso costo, oggi landa sempre più desolata, a causa di un inverno demografico di cui non s’intravede la fine. Le ragioni, ormai note: culle troppo vuote, invecchiamento della popolazione, emigrazione verso l’estero. E allora i buchi, in qualche modo, vanno tappati, con sempre più lavoratori stranieri in arrivo.

È la via da seguire, ha confermato di recente l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), che ha certificato che i Balcani «hanno bisogno» di immigrati, ormai sempre più linfa vitale per permettere alle economie locali di non andare in stallo. E di crescere. I numeri non mentono.

Quelli della stessa Iom parlano infatti di 40 mila permessi di lavoro concessi a stranieri nel 2018, ma nel 2023 e 2024 si è schizzati ben oltre i 100 mila nei soli Balcani occidentali ancor fuori dalla Ue. Immigrati impiegati in particolare nell’edilizia e nei trasporti. Ma ce ne sarà sempre maggior bisogno anche in comparti come «turismo, industria, servizi», ha previsto l’Iom. Afflusso che è legato inevitabilmente ai dati sullo spopolamento dei Balcani, fenomeno che appare in accelerazione.

Lo hanno confermato, ad esempio, dati relativi alla Bosnia-Erzegovina, resi pubblici di recente dall’Accademia delle Scienze e delle Arti di Sarajevo, che in un nuovo studio ha parlato di un crollo di 623 mila abitanti nel Paese dal 2013 a oggi. Le cause?

Emigrazione di massa e denatalità, ha confermato l’Accademia, segnalando che il Paese sarebbe ormai sceso sotto i tre milioni di abitanti. Paese che si sta svuotando soprattutto nelle «aree rurali» e senza piani di sviluppo certe zone «affronteranno un totale spopolamento», ha ammonito il ricercatore Mirko Pejanović.

Quadro speculare è quello disegnato in Serbia dall’equivalente locale dell’Istat, che ha calcolato in un meno 660.000 i cittadini persi dal Paese dal 2011 a oggi, con 1.500 bebé in meno nati nei primi sei mesi di quest’anno, a dimostrazione che la tendenza continua.

Conferma che è arrivata in questi giorni anche da un nuovo studio dell’autorevole think tank Bruegel, che ha parlato di un calo della popolazione del 24% in Bosnia (più dell’Ucraina invasa, –22%), seguita da Moldavia (-16%), Serbia (-12%), Albania e Macedonia del Nord (-10%) e Kosovo (-4%).

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