Cortei a sostegno del filorusso Dodik In Bosnia si riaccende la tensione

BELGRADO. Una sfida temeraria alle istituzioni e all’unitarietà nazionale, inscenata su un confine che non c’è; ma è forse una frontiera che qualcuno spera di tracciare in un futuro non lontano. La sfida è andata in scena l’altra sera, in una Bosnia-Erzegovina in cui crescono i timori per una ulteriore escalation della tensione. A lanciarla sono stati il leader nazionalistico e filorusso serbo-bosniaco Milorad Dodik e i suoi sostenitori: questi ultimi a migliaia si sono riuniti in varie località della Republika Srpska (Rs) sulla linea amministrativa che separa l’entità politica serbo-bosniaca di cui Dodik è presidente dalla Federazione bosgnacco-croata, la seconda unità politico-amministrativa che compone la Bosnia.
La miccia delle proteste è un’indagine aperta dalla Procura nazionale bosniaca nei confronti di Dodik per avere promulgato una legislazione che di fatto permette alla Rs di ignorare le decisioni dell’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, “arbitro” del rispetto degli accordi di pace di Dayton, la cui autorità non viene più riconosciuta dal leader serbo-bosniaco: ultimo atto di una serie di mosse della leadership serbo-bosniaca pensate per minare l’unità nazionale.
A organizzare le proteste, l’Snsd di Dodik e il Comitato per la protezione dei diritti dei serbi, il quale peraltro voleva portare i sostenitori del leader serbo-bosniaco direttamente davanti alla sede della Procura. La polizia di Sarajevo ha però vietato il raduno, schierando un numero imponente di agenti a cordone delle manifestazioni; e sono stati intravisti persino cecchini. Tra la folla, oltre al tricolore serbo, simboli della Wagner, tante bandiere russe e stendardi con il ritratto di Putin, “eroe” e modello per Dodik, che lo ha incontrato svariate volte anche dopo l’aggressione di Mosca all’Ucraina.
I dimostranti, guidati dagli alti esponenti dell’Snsd – alle proteste ha partecipato anche il membro serbo della presidenza tripartita bosniaca, Zeljka Cvijanović – si sono poi avvicinati alla linea che divide Rs e Federazione, in qualche caso bloccando per un po’ il traffico. «Il confine esiste», uno degli slogan più in voga tra i dimostranti, che hanno gridato slogan contro la Bosnia unita. «Voglio sottolineare che quella è una frontiera, non un confine amministrativo», ha fatto eco lo stesso Dodik, evocando di fatto la separazione della Rs dal resto della Bosnia, una minaccia più volte evocata in passato e che sta tornando ora prepotentemente d’attualità. Dodik sotto accusa «è l’ultima linea rossa per la Republika Sprska», ha avvisato Anja Ljubojevic, un’influente politica serbo-bosniaca, che ha promesso che «proteggeremo le nostre istituzioni», cioè Dodik.
Visto il quadro, non sorprendono le reazioni arrivate da Sarajevo. Le manifestazioni sono «attività contro Dayton», gli accordi di pace del 1995 e tutto «ricorda la situazione antecedente la guerra», ha accusato il presidente dell’Sda, il maggior partito bosgnacco, Bakir Izetbegovic. Immaginare un confine fittizio «è una manipolazione dei cittadini» per fini politici, ha fatto eco anche l’Alto rappresentante Schmidt. Ma l’escalation potrebbe essere solo l’inizio. Si è trattato solamente «di una prova generale», ha cripticamente suggerito la presidente Cvijanovic.
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