Case, imprese, locali: non si fermano gli arrivi dei russi in Serbia

Decine di migliaia da Mosca a Belgrado. Nel 2023 investiti

200 milioni nell’immobiliare. In un mese 300 nuove aziende

Stefano Giantin
La manifestazione contro la guerra in Ucraina a Belgrado (foto Rusko demokratsko drustvo)
La manifestazione contro la guerra in Ucraina a Belgrado (foto Rusko demokratsko drustvo)

BELGRADO Tanti continuano ad arrivare a bordo degli unici aerei che ancora collegano Mosca all’Europa, altri ancora se ne vanno verso altri lidi o persino ritornano in patria. Ma la maggior parte rimane nella loro nuova casa, anche se di integrarsi c’è relativamente poca voglia. Eppure, se i numeri non mentono, il fenomeno è destinato a durare e ad avere conseguenze sul lungo periodo. Si tratta delle decine di migliaia di russi – in gran parte giovani e famiglie con bambini piccoli, ma sono tanti anche gli imprenditori – che a partire dall’inizio dell’aggressione della Russia all’Ucraina hanno scelto un “esilio”» volontario. In Serbia.

A tirare le somme su quello che è un vero e proprio “esercito” di cittadini russi nel Paese balcanico è stato in questi giorni il settimanale belgradese Nin, che ha calcolato in addirittura 220mila i russi che si sono trasferiti in Serbia nel corso degli ultimi due anni, quasi un terzo del totale dei 900mila cittadini di Mosca e San Pietroburgo che avrebbero scelto di andarsene all’estero dopo l’inizio della guerra.

E la Serbia si è confermata come la destinazione ideale. I motivi sono più d’uno: non c’è bisogno di visto, ci sono ancora voli diretti dalla Russia – il Paese non ha chiuso lo spazio aereo come fatto dall’Unione europea – i russi sono tradizionalmente considerati un popolo amico, quasi fratello e possono ambire in breve tempo a ottenere una cittadinanza preziosa, con un passaporto che permette di viaggiare liberamente nella Unione europea. Sei nuovi passaporti serbi su dieci emessi a stranieri naturalizzati sono andati a russi nel 2023.

Il tutto ricorda moltissimo l’epoca post-1917, quando tantissimi russi «in massa emigrarono» a Belgrado con l’obiettivo di sfuggire ai bolscevichi appena saliti al potere, ha così ricordato Nin. Cento anni dopo e il quadro, in effetti, è molto simile. E a Belgrado, ogni giorno di più, basta fare due passi in centro e sembra di essere a Mosca; anche perché l’integrazione appare ancora un miraggio. Nella capitale non si contano ormai i bar, i ristoranti e i centri per giovani fondati e gestiti solo da russi. «Vy ponimayete po-serbski?», parlate serbo?, si chiede ad alcuni ragazzi nel quartiere di Dorcol, che ogni giorno si incontrano in un locale per passare il tempo con giochi di società o navigando su Internet. Pochi ancora lo fanno in maniera fluida, ma poi in inglese raccontano di storie di fuga, di timori di arruolamento, di nostalgia di casa. «Parlano solo russo e inglese» ma non serbo, «non ci andrò più», è il tono delle valutazioni di molti ristoranti russi a Belgrado e in tutta la Serbia, i cui numeri sono schizzati a oltre 154 rispetto ai soli sette del 2022.

Sono i lati negativi del fenomeno, come lo è anche il boom dei prezzi degli immobili, schizzati ai livelli di Milano o appunto di Mosca a causa della “caccia” dei russi ad appartamenti da comprare, dopo aver passato mesi in casa d'altri, pagando affitti stratosferici. Solo nel 2023, i russi hanno così investito quasi 200 milioni di euro nel settore immobiliare in Serbia, secondo dati dell’Agenzia serba.

Altre cifre confermano che i russi sono destinati a rimanere a lungo in Serbia. Cifre come, ad esempio, le 300 nuove imprese con titolare russo aperte in un solo mese nei momenti di picco. Oggi quelle attive sono più 2.200, mentre le partite iva sono quasi novemila, attive in particolare nel settore dell’informatica, dove i russi ormai controllano praticamente metà del mercato.

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