Candidatura della Bosnia per l’adesione all’Unione europea: a un passo dal sì di Bruxelles

Stefano Giantin
Bandiere della Bosnia-Erzegovina vicin a quelle dell’Unione
Bandiere della Bosnia-Erzegovina vicin a quelle dell’Unione

Un passo avanti fondamentale, soprattutto dal punto di vista simbolico, significativo specie perché conferma al Paese di non essere solo. E che la strada verso l’ambita bandiera blu a dodici stelle, seppur accidentata e sicuramente lunghissima, è aperta. È questo il messaggio che sarà ufficializzato dall’Unione europea con altissima probabilità già domani, diretto alla Bosnia-Erzegovina, nazione balcanica che riceverà – dopo enormi ritardi e troppe aspettative disattese – lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue. Voci in questo senso circolavano da giorni, ma sono state confermate ieri da fonti più che affidabili, in testa Mikulas Bek, ministro degli Affari europei di quella Cechia che detiene la presidenza semestrale dell’Unione.

Ieri «al Consiglio» Affari generali «abbiamo raccomandato la concessione dello status» alla Bosnia accogliendo i desiderata espressi in questo senso già a ottobre dalla Commissione, ha twittato Bek, sottolineando poi che si tratta di un «messaggio forte dell’impegno europeo per l’allargamento». Subito dopo è arrivata un’altra riprova da Bruxelles, con una nota che precisa che la risoluzione dovrebbe essere presa formalmente giovedì al Consiglio europeo, «fermo restando» che Sarajevo si impegni ad applicare «le misure specificate nella raccomandazione della Commissione per rafforzare lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la gestione dell’immigrazione e i diritti fondamentali». «Utilizzate questa nuova motivazione e questo slancio per affrontare le sfide significative che ci attendono, miei amici bosniaci», il commento dell’attuale Commissario Ue al Bilancio, Johannes Hahn, fino alla scorsa legislatura responsabile proprio delle politiche d’allargamento. Si tratta, ha fatto eco la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, di un «messaggio potente» che può infondere «coraggio» alla Bosnia, come accaduto anche nei casi dell’Ucraina e della Moldova, che si erano viste garantire lo status di candidato nei mesi scorsi, mentre Sarajevo era rimasta ancora una volta a bocca asciutta.

La Bosnia-Erzegovina è l’Ucraina di tre decenni fa, «uno dei paesi che ha subito delle aggressioni in passato e noi le dobbiamo qualcosa, dobbiamo far capire loro che non abbiamo dimenticato, che non abbiamo rivolto il nostro sguardo» solo verso Kiev, ha affermato anche il premier sloveno Robert Golob, parlando ieri proprio alla plenaria dell’Eurocamera. Nell'occasione, Golob ha ricordato che i Balcani «sono da vent’anni nella sala d’attesa» Ue, tra problemi e ritardi che hanno facilitato anche l’aumento delle influenze di potenze come Cina e Russia, quest’ultima particolarmente attiva in Serbia e appunto in Bosnia.

Congratulazioni che vanno però prese con le molle, «si festeggi quando sarà tutto deciso», giovedì, ha avvisato però il capo della delegazione Ue a Sarajevo, Johann Sattler, ricordando che «a giugno» al Consiglio «le discussioni durarono tre ore» e alla fine le speranze di Sarajevo vennero ancora una volta deluse. Ma questa volta «i segnali sono positivi», ha ammesso. Sarajevo dal canto suo è consapevole che la gioia della candidatura aprirà una nuova fase, che potrebbe essere lunghissima, come confermano i casi della Macedonia del Nord (candidata dal 2004), del Montenegro (2008) o di Albania e Serbia (2009), tutti Stati ancora lontanissimi dall’adesione. Giovedì segnerà «solo l’inizio del vero lavoro», ha confermato il membro bosgnacco della presidenza tripartita, Denis Becirovic. Anche perché i problemi “strutturali” di un Paese ancora troppo diviso e conflittuale rimangono tutti lì, a sbarrare la strada verso l’Ue. —

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