Belgrado usa lo scudo anti-drone russo
La Serbia acquista da Mosca un avanzato sistema di difesa “Repellent”. La mossa dopo i missili anticarro Usa al Kosovo

BELGRADO Armi avanzate di produzione russa che arrivano nel cuore dell’Europa aggirando le sanzioni contro Mosca, una vera e propria “sfida” all’Occidente. È questa una delle possibili letture di un affare che riguarda la Serbia, Paese strategico per la stabilità e il futuro dei Balcani, tenuta ancora lontana dalla Ue così come lo è d’altronde il resto della regione, spesso bacchettata da Bruxelles e Washington per la questione del Kosovo e per le mancate sanzioni contro Mosca, senza dimenticare le ombre sulle ultime elezioni macchiate da presunte irregolarità. E scottata da passate e imminenti forniture belliche occidentali al Kosovo.
Dopo aver mantenuto per due anni un profilo relativamente basso, la Serbia sembra così intenzionata a “rinfrescare” il suo discusso - e malvisto in Occidente - legame con la Russia di Putin, per di più su un fronte alquanto delicato: quello degli armamenti. Lo suggerisce appunto l’acquisto da parte di Belgrado di un avanzato sistema di difesa anti-drone “made in Russia”, il cosiddetto Repellent 1, il primo del genere da parte serba dall’inizio della guerra in Ucraina. Repellent, utilizzato dalle forze russe durante l’invasione dell’Ucraina e in dotazione anche a Kazakistan e Armenia, che è stato pubblicamente svelato dal presidente serbo Aleksandar Vučić a Nis in questi giorni, durante le celebrazioni per la Giornata nazionale serba. «È arrivato il Repellent, eccovi il Repellent, non è eccellente come i Krasukha» - un sistema russo ancora più potente e avanzato - ma «è ottimo», ha assicurato il leader serbo.
Il Repellent, è stato spiegato a Nis, è uno degli armamenti di guerra elettronica più potenti al mondo, con una capacità di rilevare piccoli velivoli e droni a una distanza di una quarantina di chilometri, per poi distruggerli quando sono in avvicinamento, se necessario. «Se qualcuno volesse compiere un’aggressione contro la Serbia, come accadde nel 1999», durante i bombardamenti Nato, «tecnicamente non potrebbe più farlo come un tempo» grazie alle nuove armi - non solo russe, perché anche la Cina ha fornito nel 2023 un sistema antimissile - ma dovrà organizzarsi per attaccare «dall’Adriatico o dal Mediterraneo», ha suggerito Vučić.
Parole a uso dell’opinione pubblica interna, ma che non fanno certamente ben sperare in un futuro di pace e che suonano come una sfida, anche all’Occidente. E certamente l’arrivo di nuove armi russe – oltre a quelle già finite in mano serba prima del 2022 - nei Balcani non tranquillizza, soprattutto per l’alone di mistero che aleggia sull’operazione. La Serbia infatti avrebbe ricevuto da Mosca il Repellent già da alcuni mesi, nonostante sia circondata da Paesi membri della Nato, che hanno applicato dure sanzioni e vietato il sorvolo di aerei russi nel proprio spazio aereo.
La mossa di Belgrado va comunque letta soprattutto nell’ambito dell’altrettanto preoccupante corsa al riarmo del vicino Kosovo. Kosovo che ha ricevuto quest’anno luce verde da Washington per l’acquisto di centinaia di Javelin prodotti negli Usa, potenti armi anticarro già ampiamente usate dagli ucraini contro i russi. Non solo. Pristina ha messo le mani – anche questa volta suscitando la rabbia serba – su un numero imprecisato di droni turchi Bayraktar. E allora il puzzle - tra droni e contromisure - inizia a comporsi.
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