Barricate dei serbi nel Kosovo: Vučić vuole di nuovo l’esercito

Le proteste dopo l’arresto d’un ex agente dimessosi durante la crisi delle targhe
Stefano Giantin
Vehicles of Kosovo Force, a NATO-led international peacekeeping force in Kosovo are parked near the barricade in the northern part of the ethnically-divided town of Mitrovica, Kosovo, December 11, 2022. REUTERS/Florion Goga
Vehicles of Kosovo Force, a NATO-led international peacekeeping force in Kosovo are parked near the barricade in the northern part of the ethnically-divided town of Mitrovica, Kosovo, December 11, 2022. REUTERS/Florion Goga

BELGRADO Ritornano le barricate, Belgrado conferma di avere ufficialmente nei suoi “desiderata” il ritorno dell’esercito serbo su terre non più calpestate dal 1999. E l’escalation appare vicina al punto di non ritorno. È il quadro, sempre più preoccupante, che riguarda il Nord del Kosovo, che ieri ha vissuto una delle giornate più tese di sempre. A confermarlo le barricate allestite da centinaia di serbi, piazzate sulla strada principale che da Mitrovica conduce verso il confine serbo, in un’area dove gli animi appaiono ormai difficilmente controllabili.

Le barricate sono state la risposta dei serbi all'arresto da parte della polizia kosovara di un loro ex collega, di etnia serba, Dejan Pantić, dimessosi a novembre assieme ad altre centinaia di poliziotti serbi della polizia del Kosovo in risposta alla “crisi delle targhe” dichiarata dal premier Albin Kurti e poi rientrata. Pantić, è emerso nel pomeriggio, sarebbe coinvolto in una nuova diatriba che sta ora accendendo gli animi, quella relativa al voto locale del 18 dicembre, indetto dal governo kosovaro per sostituire i sindaci serbi dimessosi dalle loro poltrone, anche loro per protesta. L’ex agente è accusato di «terrorismo», ha svelato il ministero degli Interni di Pristina, perché avrebbe partecipato a un attacco contro sedi della commissione elettorale nel nord.

Quasi in contemporanea, un altro serbo è stato fermato dalla polizia di Pristina perché accusato di aver partecipato a un assalto armato contro la polizia kosovara. Gli arresti sono stati subito definiti da Belgrado una «brutale rappresaglia e intimidazione». Dalle parole si è poi passati ai fatti, in un nord già nervoso per l’arrivo nei giorni scorsi di blindati e di centinaia di agenti kosovari di etnia albanese come rinforzi per la gestione dell’ordine pubblico. La notizia degli arresti, diffusasi immediatamente, ha portato alla mobilitazione, anche con le sirene d’allarme, di centinaia di serbi e all’erezione delle barricate, con camion e trattori a bloccare la carreggiata. Poco dopo, Pristina ha annunciato la chiusura temporanea di due importanti valichi di frontiera con la Serbia, Jarinje e Brnjak.

Una giornata campale che avrebbe potuto avere esiti ben differenti. Nel pomeriggio, dopo nuove pressioni della comunità internazionale, la presidente kosovara Vjosa Osmani aveva infatti annunciato il rinvio all’aprile 2023 delle contestate elezioni locali nel nord. Ma i fermi hanno fatto precipitare la situazione. Ancora più inquitanti, in serata, le notizie di esplosioni e sparatorie vicino a Zvecan e a Zubin Potok, non lontano da Mitrovica. E le parole del presidente serbo Aleksandar Vučić, che ha accusato Pristina di voler far esplodere il vaso di Pandora della violenza interetnica. E ha poi confermato che Belgrado chiederà alla Nato di consentire il ritorno in Kosovo di un contingente di militari serbi. La replica sarà uno scontato no – ma la sola richiesta di Vučić fa intuire che la situazione potrebbe ulteriormente degenerare.

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