Balcani “polmone nero” d’Europa: trentamila morti l’anno, carbone nel mirino

Denuncia di Cee-Bank Watch in un nuovo studio in cui l’organizzazione accusa: «Governi complici» per gli scarsi controlli sulle emissioni pericolose nelle centrali

 

Stefano Giantin

Rassicurazioni, promesse, progetti più o meno efficaci, garanzie che si farà sul serio. Ma in realtà nulla o quasi si muove. L’inquinamento non cala, gli investimenti scarseggiano, troppa gente continua a morire.

È il triste scenario che riguarda i Balcani, “polmone nero” d’Europa, in particolare a causa delle obsolete centrali elettriche alimentate a carbone – anzi, a lignite, combustibile ancora più sporco e pericoloso – che invece di essere dismesse o modernizzate continuano a uccidere nella regione con stime che parlano di 30 mila morti premature all’anno, nei soli Balcani.

È la denuncia arrivata da fonte autorevole, Cee-BankWatch, organizzazione che da anni monitora la questione. E che ha reso pubblico proprio ieri un nuovo allarmante studio, in cui si accusano apertamente le autorità al potere di «complicità nell’inquinamento che uccide», per lo scarso controllo e l’inazione sul fronte delle emissioni fuori controllo specialmente di «biossido di zolfo (SO₂)», ma anche di «polveri sottili» e di «ossidi di azoto».

Il colpevole? Materialmente le vecchie «centrali a carbone», che ancora distribuiscono energia a case e aziende in gran parte dei Balcani, soprattutto «in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia».

Sono proprio questi i Paesi messi nel mirino da Cee-BankWatch, fra i sottoscrittori, ormai più di sette anni fa, delle regole per il controllo dell’inquinamento nell’ambito del «Trattato della Energy Community», che lega Ue a Paesi balcanici, a Ucraina, Georgia e Moldova.

Passano gli anni, ma poco o nulla è cambiato per colpa delle autorità al potere, è il j’accuse di Cee-BankWatch, che ha reso noto che le emissioni delle centrali dei quattro Stati balcanici nel mirino sono ancora «insieme sei volte superiori ai limiti permessi». E parliamo di migliaia di tonnellate di SO₂ immesso nell’aria, con la Bosnia in testa con 212 mila, in aumento rispetto a un anno fa, superando di 11,3 volte i limiti, seguita dalla Serbia (4,6 volte i limiti).

Non si tratta di casi isolati, ma è tutta la regione responsabile in negativo, con le «emissioni» calate solo in minima parte «dal 2018 a oggi», ma nel 2024 «i limiti sono diventati più stringenti» e dunque il quadro è ulteriormente peggiorato.

A contribuire, centrali inquinanti come Ugljevik, in Republika Srpska, «il maggior inquinatore in termini di SO₂ nel 2024», malgrado l’investimento da almeno 85 milioni fatto con il contribuito della Japan International Cooperation Agency, per un moderno «impianto di desolforazione». Il gestore della centrale infatti «ha ammesso che non è attivo, in parte perché si tratta di un “peso economico”», ha svelato lo studio. E a produrre sempre più fumi nocivi sono anche Gacko, Tuzla 6, Kakanj in Bosnia, Kostolac in Serbia, Bitola 1 e 2 in Macedonia del Nord o Pljevlja, in Montenegro, che avrebbe dovuto essere chiusa tre anni fa. —

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