Auto elettriche cinesi “made in Ungheria”: Budapest dà l’ok alla mega fabbrica
Il colosso Byd accelera sull’apertura del primo stabilimento in Europa acquistati 300 ettari di terreno vicino al confine con la Serbia

BELGRADO L’Europa che sogna l’indipendenza nella mobilità elettrica e guarda con crescente sospetto a Pechino, ma anche Elon Musk dovrebbero iniziare a tremare. Perché proprio dal Vecchio continente si prepara una vera e propria “invasione”, con conseguenze economiche ma anche politiche di larga portata. Invasione che riguarda future auto elettriche cinesi ma “made in Hungary” che saranno prodotte nell’Ungheria di Viktor Orban dalla Byd, colosso con sede a Shenzhen, che sta accelerando per aprire il suo primo, storico stabilimento su suolo europeo.
Che tutto vada in questa direzione è confermato dalla sottoscrizione di un accordo preliminare con la “Tesla cinese”, che ha ricevuto luce verde da Budapest per l’acquisto di 300 ettari di terreni nei dintorni di Szeged, nel sud dell’Ungheria, dove già oggi è operativo uno stabilimento della stessa azienda per la produzione di autobus elettrici. Lì, a ridosso del confine serbo – di quella Serbia dove si stanno completando i lavori della più grande fabbrica cinese in Europa di pneumatici, la Linglong – sorgerà un enorme stabilimento Byd, da cui entro al massimo tre anni usciranno i primi modelli di auto elettriche. E saranno addirittura 200mila all’anno nel prossimo futuro le e-car cinesi fabbricate in Ungheria e dunque nella Ue, evitando così qualsiasi tipo di possibile dazio.
A descrivere l’ampiezza dell’affare è stato il ministro degli Esteri e del Commercio magiaro, Peter Szijjarto, che ha parlato di «uno dei più importanti investimenti nella storia economica ungherese», con protagonista «uno dei maggiori produttori di auto elettriche», la Byd cinese appunto, che nei mesi scorsi ha superato per vendite proprio la Tesla di Elon Musk. Anche se i dettagli del piano di espansione cinese in Ungheria sono ancora confusi, Szijjarto ha parlato di un investimento di «miliardi di euro», con «migliaia di nuovi posti di lavoro» attesi. A sostenere il tutto - se Bruxelles darà luce verde - anche sussidi statali magiari, perché Budapest «sostiene l’industria verde, non su basi ideologiche ma pratiche».
La paticità ungherese cozza contro l’attuale linea politica Ue, con la Commissione che nell’autunno ha lanciato un’indagine proprio sulle “e-car” cinesi e sui sussidi statali che avrebbero alterato la concorrenza, con Bruxelles che continua a guardare con sospetto l’espansionismo rapace di Pechino in Ungheria e nei vicini Balcani. Ma Budapest non sembra avere alcuna intenzione di fare marcia indietro. «Siamo la destinazione primaria degli investimenti cinesi nell’Europa centrale» e staccarsi da Pechino sarebbe «un suicidio», ha così ribadito orgoglioso Szijjarto, con la Cina che è ormai di gran lunga il maggior investitore straniero nel Paese Ue. Non c’è infatti solo Byd: nel 2022 il colosso cinese delle batterie, Catl, ha deciso di far sorgere uno stabilimento a Debrecen, investendo la bellezza di 7,3 miliardi di euro; e altre imprese di Pechino – da Nio a Huayou Cobalt e a Eve Energy - paiono destinate a seguire a ruota, creando così una vera filiera delle auto elettriche cinesi in uno Stato membro Ue. Economia e politica sono però intrecciate e, con Budapest che si propone come «ponte» con la Cina – e con la Russia –, l’Ue dovrebbe essere «molto preoccupata», ha lanciato l’allarme, tra gli altri, l’economista Dóra Gyorffy.
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