Allarme in Serbia per il possibile sbarco dei paramilitari russi del “Gruppo Wagner”

La formazione accusata di efferati crimini di guerra avrebbe aperto una sezione in Serbia

Stefano Giantin

TRIESTE Una manovra propagandistica per far paura alla “diaspora”, oppure un vero e proprio sbarco in un Paese considerato amico.

Sono le chiavi di lettura che riguardano un giallo che sta facendo discutere la Serbia. Protagonista è il Gruppo Wagner, paramilitari russi sospettati dei più efferati crimini di guerra e utilizzati dal Cremlino dalla Siria alla Libia, passando per Mali e Ucraina. E ora, forse, pure in Serbia. Serbia dove affiliati o simpatizzanti del Gruppo Wagner avrebbero aperto un «Centro informativo, culturale e di cooperazione russo-serbo - Orly», hanno annunciato loro stessi su Telegram nei giorni scorsi, un messaggio condiviso da Wagner, dando credibilità al tutto. Col risultato di sollevare un polverone.

Questo perché l’obiettivo principale del sedicente braccio serbo di Wagner, si legge ancora su Telegram, sarebbe quello di «fare i conti con i liberali russi che sono andati in Serbia, da dove cercano di condurre attività antirusse». Riferimento dispregiativo, quello ai liberali, che riguarda le decine di migliaia di russi – ora sarebbero quasi 150mila – che hanno abbandonato Mosca per trovare rifugio in Serbia dall’inizio della guerra. Molti partecipano alle marce e alle proteste pacifiste che si tengono anche a Belgrado, organizzate in città in particolare dal gruppo, auto-organizzatosi su Facebook, “Russi, ucraini, bielorussi e serbi insieme contro la guerra”, ormai più di 5 mila iscritti.

«Al Cremlino serve un altro scontro armato nel cuore dell’Europa per stornare l’attenzione della Nato dal sostegno all’Ucraina», «se Wagner qui non provoca allarme non so cos’altro potrebbe farlo», alcuni dei commenti sul gruppo pacifista e pro-Ucraina su Fb. Sbarco che è un problema serio, «l’Occidente non lo capisce» appieno, ha criticato su Twitter la ricercatrice della Foundation for Defense of Democracies, Ivana Stradner, che ha suggerito un collegamento tra Wagner in Serbia e la «cooperazione sulla sicurezza» tra Mosca e Belgrado.

Allarmi fondati? Su questo punto e non solo il giallo è fitto. A preoccupare sono sicuramente i testi sul profilo Telegram incriminato, con foto di pacifisti messi alla berlina, messaggi anti-ucraini e contro il Kosovo, video di una recente marcia di ultranazionalisti serbi a favore dei compatrioti nel nord del Kosovo. E anche il fatto, ha sottolineato la stampa locale, che il radicale anti migranti Damjan Knezevic (Narodne Patrole), sia stato avvistato al centro Wagner di San Pietroburgo, mentre analisti hanno avvertito che il gruppo potrebbe essere stato effettivamente sguinzagliato in Serbia per «controllare» e intimidire i russi in esilio volontario. Ma ci sono anche altre campane, che rendono il quadro fumoso. Aleksandar Lisov, indicato come la guida del centro, ha negato poi la sua istituzione. E forse l’analisi più azzeccata l’ha fornita alla Bbc Pjotr Nikitin, russo da sei anni a Belgrado. Wagner o no, tutta la storia sembra pensata «per spaventare la diaspora russa qui in Serbia». E per dire loro «state calmi, non parlate, non organizzatevi», non disturbate il manovratore del Cremlino.

Riproduzione riservata © il Nord Est