Affondò un battello sul Danubio: 5 anni allo “Schettino” ungherese

Nel 2019 Chaplinsky, al comando della nave da crociera Viking Sigyn,

speronò a Budapest un’imbarcazione turistica provocando 27 vittime

Stefano Giantin
Il processo a Chaplinsky (Noemi Bruzak/MTI via AP)
Il processo a Chaplinsky (Noemi Bruzak/MTI via AP)

Cinque anni di prigione. È la pena inflitta da un tribunale ungherese a Yuri Chaplinsky, comandante di nazionalità ucraina accusato di aver causato una delle più gravi tragedie fluviali sul Danubio, il cosiddetto “disastro della Hableány”, in italiano “Sirenetta”. Parliamo di un battello turistico affondato nelle acque del grande fiume, a Budapest, nel 2019, dopo una collisione con un’altra nave da crociera ben più grande, il Viking Sigyn, di cui Chaplinski era l'ufficiale di più alto grado. Nell’affondamento della Hableány morirono 25 persone, tutti turisti sudcoreani e due membri dell’equipaggio, di nazionalità ungherese. Solo sette furono salvati.

La responsabilità della tragedia, immortalata da telecamere di sorveglianza, va attribuita a Chaplinsky, aveva suggerito l’accusa durante il processo. La procura ha infatti sostenuto che il comandate della Viking Sigyn, un colosso lungo più di 400 piedi e capace di trasportare 190 passeggeri e 53 membri dell’equipaggio, non si sarebbe responsabilmente concentrato nella guida della nave, in particolare nei cinque minuti che precedettero la tragedia. Chaplinsky non si accorse di essere pericolosamente vicino alla Sirenetta, manovrando poi la sua nave da 2mila tonnellate sempre più vicino al battello turistico, senza rallentare o lanciare messaggi d’allarme. Ancora più grave, per quello che l’accusa aveva presentato come una sorta di “Schettino” d’Ungheria, il fatto che il comandante non avrebbe ordinato di prestare subito soccorso ai naufraghi.

Chaplinsky, durante il procedimento, aveva sostenuto invece di non aver notato la Sirenetta in navigazione sul tratto di Danubio che attraversa Budapest, sempre molto trafficato, e di aver pensato di aver urtato pezzi di legname, non un’altra imbarcazione. «Non ho riposato un minuto da quel giorno, per i ricordi della tragedia non posso più dormire la notte», ha confessato Chaplinski prima della sentenza, ribadendo il suo «immenso dolore» per il disastro. Il comandante, in parte, ha visto la sua posizione migliorare. E un po’ di onore restituito. I giudici lo hanno infatti condannato per aver messo in pericolo la navigazione sul fiume, ma lo hanno assolto dall’accusa di non aver offerto aiuto ai naufraghi, alcuni poi annegati. Con 27 vittime, quello dell’Hableány fu il maggior incidente fluviale in Ungheria da decenni, ma non paragonabile ad altre tragedie come quelle, avvenute sempre sul Danubio, della Mogosaia (si stimarono 240 vittime, nel 1989 in Romania) o del Nis, a Belgrado (127 morti nel 1952). 

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