A Belgrado fra i luoghi del passato, Pisarri: «Faccio luce sulla Storia dimenticata»
Italiano nato in Calabria, classe 1980, Milovan Pisarri si è laureato a Venezia e da anni risiede in Serbia

BELGRADO Un rapporto sotterraneo e forte lega Milovan Pisarri ai Balcani. Lo storico, italiano, nato nel 1980 a Cetraro in provincia di Cosenza, era predestinato a migrare oltre Adriatico. Il nome che i suoi genitori hanno scelto per lui, Milovan, così estraneo alle terre della Calabria, era un tributo alla nonna originaria di Premantura, in Istria. «Mi ricordo che a casa volava ogni tanto qualche parola di serbo-croato, soprattutto quando la nonna parlava al telefono con i parenti rimasti in Jugoslavia. C’era poi una zia, che chiamavamo tutti “teta” senza sapere davvero perché», ricorda Pisarri, che risiede a Belgrado da ormai una quindicina d’anni.
Laureato in storia a Venezia, dove ha conseguito il dottorato nel 2011, Pisarri si occupa di “Public history”, “Storia pubblica”, ovvero di divulgare i risultati delle ricerche storiche (soprattutto quelle che riguardano temi sensibili), con lo scopo di interessare il pubblico. «Ognuno di noi ha uno spazio di manovra all’interno del quale può costruire delle narrazioni alternative a quelle dominanti e nazionaliste», annota Pisarri, «è la responsabilità sociale dello storico».

Nel 2018, assieme ad altri amici, Pisarri ha fondato a Belgrado il Centro di Storia pubblica, che con eventi e visite guidate contribuisce a far luce sulle vicende degli anni Novanta, sulla Shoah e sui tanti rimossi della coscienza collettiva serba. «Ho iniziato occupandomi di Olocausto, poi del genocidio dei Rom durante la Seconda guerra mondiale», spiega. Con le sue attività l’associazione contribuisce a svelare anche lo stato – spesso impietoso – in cui si trovano alcuni luoghi pregni di storia. Un esempio è quello del campo di concentramento nazista di Topovske šupe, dove nel 1941 furono internati 5mila ebrei e 1500 rom, poi tutti uccisi. «Il campo non è lontano dal centro di Belgrado, ci passa il tram ed è sulla strada per lo stadio», spiega Pisarri: «Qualche anno fa abbiamo comprato uno spazio pubblicitario lì vicino e abbiamo scritto “Lo sapevate che qui c’era un campo di concentramento per ebrei e rom e che furono tutti uccisi nel 1941?” Questo ha contribuito a rendere nota una storia dimenticata, soprattutto dopo che nel 2006 lo Stato aveva venduto il terreno su cui si trova il campo». Una legge approvata nel 2020 ha finito per salvare l’area, prima che venisse destinata ad altro utilizzo.
«La mia posizione è sempre stata questa: faccio ricerca rispettando la metodologia della ricerca storica, ma i risultati che produco non devono rimanere nell’ambito sterile del mondo accademico perché riguardano argomenti che aiutano a comprendere la società di oggi», aggiunge Pisarri, che dalla fine dello scorso anno è operativo all’Istituto di Filosofia e di Teoria sociale di Belgrado, dove coordina un laboratorio di studio sulla Shoah. Il suo impegno per la diffusione della verità storica gli ha attirato qualche critica, ma nessuna minaccia seria: «I nazionalisti si limitano ad attaccarci sui social media», afferma. A livello istituzionale, invece, il suo lavoro è stato riconosciuto. Quest’anno la Federazione ebraica serba lo ha scelto come componente del nuovo consiglio di gestione che coordinerà la ristrutturazione e la futura attività dello Staro Sajmište, il grande campo di concentramento di Belgrado dove durante la Seconda guerra mondiale trovarono la morte ventimila persone. «La Serbia non ha un museo della Shoah, ma finalmente si è deciso di intervenire. La ristrutturazione di Staro Sajmište è iniziata l’estate passata e il prossimo anno arriveranno i primi risultati. È un passo storico e io sono orgoglioso di farne parte», conclude Pisarri.
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